Guerra in Ucraina

Sos di Giorgetti e Cingolani: "È già economia di guerra"

Allarme per approvvigionamenti e costi dell'energia "Obiettivo arrivare all'autunno, spegnendo l'incendio"

Sos di Giorgetti e Cingolani: "È già economia di guerra"

Siamo in un'economia di guerra. Lo ammettono i due ministri, alla convention leghista di Roma. Giancarlo Giorgetti, titolare dello Sviluppo economico, usa ancora le virgolette. Il collega Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, non usa neanche più questa precauzione lessicale. «Dobbiamo essere molto seri e molto onesti - spiega - siamo in una economia di guerra e non più in una economia di mercato».

Il leader della Lega Matteo Salvini è seduto in prima fila e ascolta con lo stato maggiore del partito. Dall'altro lato della platea un altro ministro, l'azzurra Mariastella Gelmini, che si prepara a intervenire sull'autonomia.

Si parla di energia e ambiente. E se la crisi energetica aveva già fatto irruzione nell'agenda del governo già prima del 24 febbraio, quella che si è materializzata con l'attacco russo in Ucraina è un'emergenza vera e propria, per ora potenziale, ma se è vero che il presidente del Consiglio Mario Draghi due mesi fa aveva garantito: «Non siamo in un'economia di guerra ma bisogna prepararsi», è evidente che ora la crisi ora si è acutizzata.

Cingolani avverte che il gas «ha raggiunto valori folli». Giorgetti si dice «molto preoccupato»: vede l'impatto «devastante» di questo marasma geopolitico e ammette che l'energia è anche «un fattore di sicurezza strategica».

Sullo sfondo, evocata dal direttore del Giornale Augusto Minzolini - che lo intervista - la consapevolezza che l'approvvigionamento energetico sia fondamentale non solo per l'economia di un Paese, ma anche per la sua democrazia e sicurezza nazionale. Lo spettro di una chiusura dei rubinetti russi, per l'amministratore delegato di Enel Francesco Starace è una «tragica eventualità», aggravata da un'altra guerra, quella che ha devastato la Libia (riducendo a un decimo gli approvvigionamenti in arrivo dallo Stato nordafricano). Pesano poi errori passati, come il «no» al nucleare.

L'Italia, dunque, cammina su un filo. Il 73% dell'energia deriva dal fossile, al 90% è importata (il gas al 93%) e per il 40% dipendiamo dalla Russia, in guerra e sotto sanzioni. «Negli ultimi mesi - spiega Cingolani - abbiamo fatto un'operazione che non è riuscita ad altri Paesi». Ricorda i contratti, con 6-7 Paesi africani, che valgono circa 25 miliardi di metri cubi di gas. Ma ne dovremmo sostituire 29 di quello russo, e l'operazione richiede tempo. «Se si fermasse domani saremmo in difficoltà» ammette. Un equilibrio sarà raggiungibile solo in 24-30 mesi, gradualmente, quindi «vedremo la luce in fondo al tunnel se a ottobre e novembre di quest'anno riusciamo ad arrivare con gli stoccaggi pieni».

Resta l'impennata dei costi, iniziata in autunno, come sa bene Salvini, che il 28 dicembre era alle fonderie di Torbole per lanciare l'sos. E Giorgetti, appunto, è preoccupatissimo. Intanto per la transizione energetica, obiettivo imbevuto di ideologia in Europa. «I paesi manifatturieri, come l'Italia - avverte - non possono ignorare il fatto che le scelte di sostenibilità ambientale che non tengono conto delle altre due zampe del tavolo, la sostenibilità economica per le imprese e quella sociale per i lavoratori, fanno cadere il tavolo e causano il disastro». Poi i prezzi folli del gas che danneggiano imprese e famiglie. I «big» dell'energia stanno col governo. Per calmierarli, Starace e l'ad di Eni Claudio Descalzi chiedono un tetto europeo al prezzo del gas, come l'Italia fa da mesi a Bruxelles, contro i Paesi del Nord Europa. Per Giorgetti, si deve fare il massimo sforzo per abbattere i costi che gravano sulle imprese, altrimenti sarà «inevitabile» la minore competitività (e alcune saranno costrette a chiudere») o «una fiammata inflazionistica che genererà un «circolo vizioso» che «non deve assolutamente accadere». Bisogna «spegnere l'incendio in origine».

Prima del disastro.

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