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Lo Stato diffama e la colpa è dei giornalisti

Maledetti giornalisti, alla fine sono loro i bastardi, quelli senza etica e da rieducare con un corso massiccio di deontologia.

Lo Stato diffama e la colpa è dei giornalisti

Maledetti giornalisti, alla fine sono loro i bastardi, quelli senza etica e da rieducare con un corso massiccio di deontologia. L'abuso di intercettazioni ha finalmente un capro espiatorio, quelli che per mestiere raccontano ciò che accade. Un atto giudiziario non è più un fatto, ma un pettegolezzo. È spiare la vita degli altri dal buco della serratura. Come vi permette di scrivere quello che la pubblica accusa archivia e mette a disposizione di un tribunale? Carlo Nordio, ministro della Giustizia, pone un problema reale: c'è un limite alle intercettazioni? Non c'è dubbio che qualcosa da rivedere ci sia. Non è solo una questione di diritto alla privacy. Ci sono in gioco i pilastri della civiltà liberal democratica. Ci sono innocenti che sono stati «sputtanati» e poi assolti in tribunale. I processi davanti all'opinione pubblica sono vergognosi. È necessario ritarare l'uso di uno strumento investigativo molto utile e spesso necessario con le garanzie costituzionali di ogni individuo. Solo che al ministero della Giustizia tirano in ballo la stampa, come se l'origine della giustizia chiacchierona fosse lì. È troppo facile. Il rischio, in buona fede e per non riconoscere la fonte del problema, è toccare i capisaldi della libertà di stampa. Non è una esagerazione. È che non si può chiedere a un giornalista di non scrivere ciò che un potere dello Stato ha reso pubblico. Non si può dire tocca a voi ignorare, cancellare, censurare, ha messo nero su bianco. Si finisce in un paradosso di filosofia politica e del diritto. Lo Stato spia e va bene. È utile per la sicurezza, per combattere la criminalità, organizzata e non. Lo sta facendo a fin di bene. Tutto chiaro. Lo Stato poi trascrive quello che ascolta, spesso lo fa in modo corretto, qualche volta travisa e di tanto in tanto va oltre. Non si limita a sottolineare ciò che è utile per le indagini, ma si sofferma su dialoghi che non hanno nulla di rilevante. Ok, può capitare. A un secondo controllo la roba intima o superflua andrebbe gettata in un inceneritore. Non sempre accade. Lo Stato poi dovrebbe ricordarsi che tutti sono innocenti fino a quando non c'è un verdetto di terzo grado in un tribunale. Quegli atti finalizzati all'indagine e al processo non dovrebbero andare in giro. Lo Stato non solo non fa nulla per garantire la riservatezza, ma quando serve, magari politicamente, si mette a spacciare intercettazioni. È qui che le parole diventano discorso pubblico. Sono notizia. Ora il giornalista dovrebbe nascondere notizie che lo Stato ha messo in circolo. Con quale criterio? Qui l'etica diventa discrezionale. Se lo Stato diffama come si può condannare un giornalista per diffamazione? È qui il nodo difficile da sciogliere. Il sospetto allora è che si guardi ai giornalisti perché non si ha la forza e il coraggio di fare i conti con i magistrati.

Stato non mangia Stato.

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