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La strategia della lumaca ci è costata già 90 miliardi. Il premier fa l'ottimista, ma l'Italia è debole

"Dobbiamo essere ottimisti". Il post vertice di Giuseppe Conte è un disperato sforzo di guardare al bicchiere mezzo pieno. Impresa difficile.

La strategia della lumaca ci è costata già 90 miliardi. Il premier fa l'ottimista, ma l'Italia è debole

«Dobbiamo essere ottimisti». Il post vertice di Giuseppe Conte è un disperato sforzo di guardare al bicchiere mezzo pieno. Impresa difficile. Perché mentre il premier si presentava a mani vuote al breve Consiglio europeo in videoconferenza di ieri, la situazione del Paese va franando.

La maggioranza è talmente traballante che Conte è andato al vertice senza farsi votare dal Parlamento un mandato, per paura di incappare in incidenti sul Mes. Sul Dl elezioni la fiducia in Senato è passata a stento ma Conte continua a indossare gli occhiali rosa e commenta la «prova di grande compattezza della maggioranza».

Ma è sul fronte economico che la situazione di giorno in giorno conferma tutta la sua drammaticità. Il direttore generale del ministero dell'Economia Alessandro Rivera ieri ha reso noto che il Tesoro da inizio anno ha emesso titoli di Stato per 302 miliardi, un dato superiore di quasi 90 miliardi rispetto ai 213 dello stesso periodo del 2019, con un incremento del 42%. Novanta miliardi di debito pubblico in più. Un macigno reso appena più lieve dal fatto che il costo del debito, con il calo dello spread, è stato pari allo 0,79 per cento, una media inferiore a quella del 2019. Un vantaggio che permette a Rivera di dire che, per quest'anno, è stato possibile «non pregiudicare la solidità del debito pubblico italiano».

Resta il fatto che l'Italia si carica sempre più di debito pubblico. E che l'aumento dell'emissione di titoli è talmente enorme da valere circa metà della fetta del Recovery Fund che spetterebbe all'Italia, oltre 170 miliardi. Ecco perché il premier insiste nel cercare di difendere le condizioni previste dal progetto «Next generation Eu» della Commissione europea. «Non è accettabile per l'Italia andare al di sotto di questo obiettivo. - ha detto nel consueto punto stampa presso villa Pamphilj, prima di tornare ai suoi Stati generali - Non è accettabile per tanti altri Paesi. Non è tanto il fatto di scendere o non scendere. Quello è un pacchetto ben bilanciato in questo momento, toccarlo significa smontare un articolato progetto e non è accettabile».

Già: non è accettabile perché l'Italia ha già impegnato risorse pari all'intero pacchetto di «grants», cioè di denaro a fondo perduto, previsto dalla Commissione. Al momento va tutto sul monte del debito pubblico, ipotecando il futuro del Paese. Un'ipoteca che, finora, non ci è servita per investimenti produttivi, ma esclusivamente per spesa assistenziale. Novanta miliardi è la misura di quanto ci costa mettere toppe all'Ilva e all'Alitalia, pagare settimane e settimane di cassa integrazione, bonus vacanza e bonus bicicletta, lo striminzito aiuto alle partite Iva. L'ammuina di Conte per restare a galla è una tattica costosa e che ci costringerà a dire di sì alle condizioni imposte dai Paesi europei che ci accusano di sprecare denari. Tanto che il premier ora toglie dal piatto anche la possibilità di un veto sul bilancio Ue come arma di ricatto: «Non voglio considerare la possibilità».

Il problema è che perfino Angela Merkel, la Cancelliera decisa a chiudere l'accordo per luglio per passare alla storia come salvatrice della coesione europea, ci avverte che

i soldi, bene che vada, arriveranno nel 2021. «Vedo un clima convergente», sospira Conte. Vedremo a luglio dove converge. «È stata una Caporetto - sintetizza l'azzurra Deborah Bergamini - Conte venga a riferire in aula».

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