Guerra in Ucraina

Il Sultano mediatore ora andrà all'incasso. Patti e doppi giochi sulle armi e l'energia

Dallo sblocco del grano Erdogan otterrà prezzi di favore. Siria, Libia, Ucraina: da terzo incomodo nei conflitti ha tratto vantaggi. Ricattando Nato e Ue

Il Sultano mediatore ora andrà all'incasso. Patti e doppi giochi sulle armi e l'energia

Fra i due litiganti il terzo gode. Il primo a saperlo è il presidente turco Recep Tayyp Erdogan grande mediatore dell'accordo sul grano firmato da Nazioni Unite, Russia e Ucraina. Il mediatore in questo caso ha molto da guadagnare. La Turchia è, con l'Egitto, il principale acquirente di quel grano russo che fino al 2020 guidava le classifiche mondiali delle esportazioni con il 18% del venduto rispetto al 6% di quello ucraino. Insomma grazie a un un'intesa che mette fine alle sanzioni sui porti russi il grano di Mosca tornerà a circolare in quantità maggiore di quello di Kiev. Ed Erdogan otterrà, grazie al suo ruolo, prezzi di favore.

Del resto nessuno come il Sultano ha perfezionato il ruolo di terzo indispensabile incomodo in tutti i principali conflitti degli ultimi anni. In Siria, Libia e Nagorno Karabakh si è dimostrato un impareggiabile campione d'ambiguità capace sia di colpire al fianco gli alleati, sia di stringere fruttuose intese con i nemici. In Siria armava i terroristi dell'Isis mentre recriminava l'aiuto della Nato e negoziava con Vladimir Putin. In Nagorno Karabakh ha approfittato della crisi tra Mosca e Erevan per schierarsi con Baku e regalargli il controllo dell'enclave armena in cambio del petrolio e dei milioni di dollari ottenuti per le forniture di missili e droni. In Libia non ha esitato a scendere in campo al fianco di Tripoli assediata dal generale Haftar e dai contractor russi di Wagner. Ma i primi a farne le spese, come già successo in Somalia, siamo stati noi italiani messi alla porta dalla nostra ex-colonia nonostante il ruolo di formali alleati di Tripoli e della stessa Ankara. Il tutto sotto gli occhi di un'Europa costretta, nel 2016, a versargli un assegno da sei miliardi pur di metter fine al ricatto dei migranti.

Ma il conflitto tra Ucraina e Russia è senza dubbio l'inferno in cui il diavolo di Ankara offre il meglio e il peggio di se. L'accordo sul grano tra Onu, Kiev e Mosca ne è solo l'ultima prova. Ancor prima che il conflitto iniziasse Erdogan era riuscito a metter in cassa milioni di dollari vendendo ad un Ucraina priva di aviazione i droni Bayraktar TB2 «made in Turkey» protagonisti dei conflitti di Libia e Nagorno Karabakh. Un giochino attuato nella consapevolezza che nell'ottica di Vladimir Putin i danni provocati sul piano militare da quei droni, protagonisti tra l'altro dell' affondamento dell'incrociatore Moskva, sarebbero stati meno rilevanti di quelli procurati alla Nato da Erdogan attraverso il suo ruolo di alleato infedele. Un ruolo giocato alla perfezione non appena si è aperta la partita sull'entrata di Finlandia e Svezia nell'alleanza.

Anche in quel caso il signore del ricatto ha esibito tutto il suo smalto riuscendo ad ottenere dall'Alleanza il permesso di far carne di porco di quei curdi dimostratisi il più fedele alleato nella lotta allo Stato Islamico. Ma non solo. Gli scogli disseminati per ostacolare l'entrata nella Nato di Svezia e Finlandia sono diventati il miglior piedistallo per garantirsi nuove forniture di F16 facendo scordare a Joe Biden l'oltraggio dei contratti con Mosca per l'acquisto del sistema missilistico russo SS 400. Del resto anche il nostro Mario Draghi - pronto a inizio mandato a liquidare come un «dittatore» il presidente turco - ha dovuto far i conti con gli insidiosi giochi del Sultano. Pur di non ritrovarsi assediato dai migranti - di cui Erdogan controlla, complice la nostra ritirata dalla Libia, sia il rubinetto dell'Egeo che del Canale di Sicilia - Draghi è dovuto volare ad Ankara offrendogli un implicito e ossequioso «mea culpa».

Un «mea culpa» indispensabile per evitare alle navi dell'Eni, impegnate nella sempre più urgente ricerca di gas nel Mediterraneo, nuovi incontri ravvicinati con quelle fregate turche che nel 2017 non esitarono a bloccare le nostre prospezioni davanti a Cipro.

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