No, non chiamiamolo rimpasto. Un pit-stop semmai, un tagliando, una registratina, una messa a punto della scassata e scarburata macchina governativa. Un ministro esce, uno entra, uno si sposta: una girandola di sostituzioni dopo il referendum e le regionali, prima del secondo tempo della partita giallorossa. «Credo - dice Andrea Orlando - che, a prescindere dalla riforma costituzionale, non si tratti di cambiare questo o quello, ma di aprire una fase nuova. Ci troviamo nella situazione di spendere 209 miliardi in un Paese che da tempo fa tagli e c'è una difficoltà a mettere in campo progettualità».
Ecco il punto, il ritardo di Palazzo Chigi nel preparare i piani di sviluppo da presentare a Bruxelles per accedere al Recovery Fund. Una lentezza, che sommata al disagio del Pd nel dover sostenere una politica non sua, da portatore d'acqua, ai possibili disagi per le riaperture delle scuole e alla probabile sconfitta in diverse Regioni, può far esplodere la rivolta dem contro Giuseppe Conte. E siccome una débàcle profonda potrebbe far saltare pure Nicola Zingaretti, tocca al vicesegretario Orlando rompere gli indugi: così non si va avanti, questo il senso del suo discorso.
Dunque, cambiare. In bilico soprattutto il ministro dell'istruzione Lucia Azzolina, ma rischiano il posto pure quello della Giustizia Alfonso Bonafede, dopo le accuse del Pm Di Matteo su pressioni della mafia, quella delle Infrastrutture Paola De Micheli, per il caos sulle autostrade liguri, e quella dell'Interno Luciana Lamorgese per il pasticcio dell'hot spot di Lampedusa e, più in generale, della gestione dell'immigrazione. Da tempo inoltre si parla di affiancare a Conte due vicepremier, due cani da guardia per costringerlo a un esercizio del potere più collegiale. Tutto però resta da mesi sospeso in attesa del verdetto delle urne. Il premier ovviamente resiste.
Ma Orlando sembra avere fretta e da voce ai fermenti del suo partito. O forse esponendosi vuole solo fermare sul nascere la corsa di Stefano Bonaccini alla segreteria Pd. «Con chi cambiare - spiega a Radio 24 - lo deciderà Conte, tuttavia che si tratti di disporre la squadra in assetto diverso e un'esigenza che deriva da questa fase». Per Matteo Orfini «il rimpasto non è una priorità, prima dei nomi cambiamo l'agenda». Il Nazareno deve avere più spazio? Orlando glissa. «Bisogna fare un tagliando. Non è questione di dare peso a questo o quel partito, ma di concentrarci sui filoni che l'Europa considera centrali».
Già, quali? Il Pd spinge sul Mes: in attesa della messa a punto delle procedure per il Recovery, prendiamo intanto i 36 miliardi del fondo Salva Stati per la sanità. Persino il premier non ha escluso la possibilità. I grillini però ne fanno una battaglia di principio e non vogliono cedere. Luigi Di Maio sostiene che tanta insistenza è sospetta: «È un espediente, cercano di metterci in difficoltà, di creare tensioni nella maggioranza». I Cinque Stelle riusciranno a tenere il punto dopo il voto? Per il ministro Speranza, Leu, «ogni euro dedicato al servizio sanitario nazionale va speso». E Maria Elena Boschi: «Vada come vada alle Regionali, il giorno dopo ci sarà da fare il punto sugli equilibri interni della coalizione».
E qui si torna al rimpasto.
Conte frena, non vuole essere commissariato, ma la situazione potrebbe imporre il restyling. Il Quirinale osserva perplesso e ammonisce: niente crisi al buio, perché quando si comincia a toccare la squadra di governo non si sa mai quando e come si finisce.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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