"Tira le cuoia": ora l'Iran esulta per l'attentato contro Rushdie

Le condizioni dello scrittore dopo l'intervento "sono gravi". Sempre più a rischio i rapporti con Washington sul nucleare

"Tira le cuoia": ora l'Iran esulta per l'attentato contro Rushdie

Mentre lui resta in ospedale in «condizioni critiche» dopo un intervento chirurgico d'urgenza, attaccato ad un ventilatore, senza riuscire a parlare, con il fegato danneggiato dalle coltellate, i nervi del braccio recisi e un occhio probabilmente perso per sempre, in Iran esultano perché Salman Rushdie è ancora un «apostata», un «depravato».

Quasi tutta la stampa iraniana ha celebrato l'attacco avvenuto nello stato di New York contro lo scrittore (oggi 75enne), che nel 1989 fu condannato a morte dalla Guida suprema Ruhollah Khomeini per il suo libro «Versi satanici». È da allora che Rushdie è ritenuto un «blasfemo» e che è stato messo al bando nella Repubblica islamica.

Contro di lui è odio furente. Resta nel mirino anche disteso in un letto d'ospedale a combattere contro tutto ciò che gli è stato fatto: «Ci auguriamo che tiri le cuoia e con la morte di questo autore satanico il cuore ferito dei musulmani possa guarire dopo tutti questi anni», ha scritto l'agenzia Fars, vicina alle Guardie della rivoluzione, in un editoriale pubblicato ieri. E poi c'è chi inneggia all'attentatore, come il quotidiano conservatore Kayhan che ha definito «coraggioso» Hadi Matar, 24 anni. «Diciamo bravo a quest'uomo coraggioso e consapevole del suo dovere che ha attaccato il depravato apostata Salman Rushdie a New York. Baciamo le mani di colui che ha strappato il collo del nemico di Dio con un coltello», scrive il quotidiano, il cui direttore Hossein Shariatmadari è considerato vicino alla Guida suprema Ali Khamenei. Mentre il presidente francese Emmanuel Macron, il premier britannico uscente, Boris Johnson, e la Casa Bianca hanno espresso solidarietà a Rushdie condannando l'attacco, nessun commento ufficiale è arrivato dal governo della Repubblica islamica o da parte di altri Paesi musulmani.

In questi trentatré anni, l'Iran non ha mai revocato la fatwa espressa da Khomeini contro il romanziere e, sebbene l'amministrazione guidata dal riformista Mohammad Khatami, nel 1998 avesse assicurato al governo britannico di non avere intenzione di mettere in pratica la condanna, in varie occasioni Khamenei ha fatto sapere che invece era ancora valida. «Il verdetto dell'imam Khomeini su Salman Rushdie si basa su versi divini, è solido e irrevocabile», scrisse nel 2019. Adesso, l'attacco contro lo scrittore a New York potrebbe contribuire a inasprire le tensioni, già molto alte, tra Stati Uniti e Iran e potrebbe allontanare ulteriormente Teheran e Washington anche nei già complicati, e inconcludenti, colloqui di Vienna sul rilancio dell'accordo nucleare. Mohammad Marandi, un consigliere della delegazione iraniana nella capitale austriaca per i negoziati sul nucleare ha dichiarato: «Non verserò lacrime per uno scrittore che ha blaterato infinito odio e disprezzo per i musulmani e l'Islam. Una pedina dell'Impero che si presenta come romanziere post coloniale».

Intanto tutto il mondo ha negli occhi le immagini di Rushdie in barella, coperto di sangue, con attorno i paramedici e i poliziotti che tentano di tamponare le ferite su tutto il corpo. E mentre odio e solidarietà si alternano, ad aggiornare sullo stato dell'autore indiano, è il New York Times, in contatto via mail con il suo agente, Andrew Wylie, che purtroppo fa sapere: «Le notizie non sono buone».

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