Cronache

Trappola della liquidità per famiglie e imprese: "congelati" 113 miliardi

Studio Unimpresa sull'aumento dei depositi. Giacomoni (Fi): "È ora di incentivare i Pir"

Trappola della liquidità per famiglie e imprese: "congelati" 113 miliardi

Oltre 113 miliardi di euro congelati da famiglie e imprese nell'era Covid, con i consumi al palo e zero investimenti. Con quasi 60 miliardi aggiuntivi accumulati dalle famiglie e quasi 53 miliardi nelle casse delle aziende, la massa di risparmi degli italiani corre verso quota 2.000 miliardi di euro. L'analisi effettuata dal Centro studi di Unimpresa sui dati della Banca d'Italia ha evidenziato che lo stock delle riserve è aumentato di oltre circa 100 miliardi (+5%), dai 1.898 miliardi di maggio 2020 ai 1.996 miliardi di maggio 2021. Al netto del calo delle riserve dei fondi di oltre 30 miliardi (-8%), l'incremento supera 113 miliardi. «Per il futuro del Paese sarà decisivo un ingrediente impercettibile, ma fondamentale: la fiducia, essenziale per far ripartire consumi e investimenti», ha commentato il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi.

Quanto all'analisi per strumento, la crescita delle riserve si deve per la quasi totalità ai 147,9 miliardi aggiuntivi (+11,97%) lasciati sui conti correnti, passati dai 1.236,4 miliardi di maggio 2020 ai 1.384,4 miliardi di maggio scorso. L'altro strumento col saldo attivo è quello dei depositi rimborsabili, saliti di 4,6 miliardi (+1,5%) da 312,4 miliardi a 317,1 miliardi. In calo, invece, i depositi vincolati, scesi di 13,1 miliardi (-6,25%) da 210,5 miliardi a 197,3 miliardi. In fortissima contrazione, poi, l'esposizione verso i pronti contro termine, scesa complessivamente di 42,1 miliardi (-30,21%) da 139,1 miliardi a 97,1 miliardi. «I comportamenti delle famiglie e delle imprese mettono in evidenza un atteggiamento orientato alla massima prudenza», ha chiosato il Centro studi Unimpresa evidenziando che «la volontà di accumulare denaro con forme di deposito particolarmente liquido». Insomma, si preferisce uno 0,03% di interessi pagando un'aliquota del 26% sui rendimenti che scommettere sul futuro.

Si tratta di un trend del quale, in una recente intervista al Giornale, il presidente Abi, Antonio Patuelli, ha spiegato le cause. La pressione fiscale sugli investimenti è elevata, aveva sottolineato argomentando come sulle imprese gravino Irap, Ires e la ritenuta d'acconto (la cedolare secca del 26%) sugli utili distribuiti. A questo scopo Patuelli aveva suggerendo al legislatore di «incentivare gli utili reinvestiti dalle imprese» e di «incentivare il risparmiatore, riducendo le aliquote fiscali sugli investimenti in base alla durata». Ultimo ma non meno importante: «dire chiaramente no a qualsiasi patrimoniale».

E proprio il deputato che maggiormente si è battuto contro i prelievi sui patrimoni a suggerire una possibile via d'uscita. «Stiamo vivendo il paradosso della liquidità e il problema si risolve con i Pir (piani individuali di risparmio; ndr), raddoppiando da 30mila a 60mila euro annui l'esenzione fiscale dell'imposta sui capital gain per le somme investite stabilmente per 5 anni», dichiara Sestino Giacomoni, componente del coordinamento di presidenza di Fi. «Il principio è che se si investe nell'economia reale, non si pagano tasse», aggiunge promettendo che «anche nella prossima legge di Bilancio ripresenterò l'emendamento estendendo il beneficio a fondi pensione e casse di previdenza».

Se solo si incentivasse a investire un 10% di quanto fermo sui depositi, «si avrebbe un altro Recovery plan da 170-200 miliardi» a costo zero, conclude rimarcando che «il ministro Franco condivide questa impostazione».

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