Il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, negli ultimi mesi ha avuto una serie di colloqui confidenziali con uno dei principali consiglieri di Vladimir Putin, Yuri Ushakov e con Nikolai Patrushev, sua controparte diretta nel governo russo. Argomento delle conversazioni, scongiurare il rischio di una catastrofe nucleare, con l'uso da parte della Russia di armi atomiche o di distruzione di massa in Ucraina. La rivelazione del Wall Street Journal, che cita fonti dell'Amministrazione Usa e degli Alleati, conferma quello che parzialmente lo stesso Sullivan, che è il principale consigliere di Joe Biden in tema di sicurezza nazionale, aveva già riferito a settembre, quando la retorica nucleare di Mosca aveva cominciato a farsi sempre più insistente e pericolosa. Gli Stati Uniti, aveva detto Sullivan, «hanno comunicato direttamente e privatamente, ai più alti livelli del Cremlino, che qualsiasi impiego di armi nucleari avrebbe per la Russia conseguenze catastrofiche».
Lo scoop del Wall Street Journal è stato indirettamente confermato dalla Casa Bianca, che per bocca della portavoce Bianca Karine Jean-Pierre ha precisato che gli Usa si riservano il diritto di parlare direttamente alla Russia su questioni importanti, come in questo caso la riduzione del rischio di un allagamento del conflitto o dell'uso dell'atomica. Quanto al Cremlino, il portavoce Dmitry Peskov ha sì parlato di «bufala», ma non ha nemmeno negato i contatti.
Questa riedizione della «Linea Rossa», quel canale di comunicazione diretto che venne istituito, non a caso, proprio dopo la Crisi dei missili di Cuba del 1962, lascia aperta più di una domanda sull'esito del conflitto in Ucraina. Le stesse fonti del Wsj precisano che i colloqui di Sullivan con i suoi interlocutori russi non hanno avuto per oggetto un eventuale accordo per mettere fine alla guerra. La linea ufficiale della Casa Bianca rimane quindi la stessa: «Spetta agli ucraini decidere quando sarà il momento di negoziare, il nostro compito è aiutarli per farli arrivare nella maggiore posizione di forza al tavolo delle trattative», ripete periodicamente il portavoce della Sicurezza nazionale, John Kirby. Ma il fatto stesso che la notizia dei contatti di Sullivan con i russi sia stata fatta trapelare, lascerebbe intendere che all'interno dell'Amministrazione qualcosa si stia muovendo.
È dei giorni scorsi l'altra notizia, trapelata sulla stampa Usa, che Washington starebbe facendo pressioni sul presidente ucraino Zelensky affinché mostri una maggiore disponibilità alla trattativa, anche per non mostrarsi «troppo intransigente» agli occhi degli alleati europei, alle prese con una grave crisi energetica, alla vigilia dell'inverno. Ecco allora che la recente visita a Kiev dello stesso Sullivan, ufficialmente per illustrare a Zelensky e ai suoi consiglieri più stretti il nuovo pacchetto di aiuti militari Usa da 400 milioni di dollari (compresi 45 carri armati di fabbricazione sovietica T-72B rimessi a nuovo), può essere letta in una chiave più ampia. Quella della difficile ricerca di un punto di approdo per il conflitto. Del resto, l'Amministrazione Biden deve non solo fare i conti con gli Alleati della Nato e gli altri partner occidentali - l'Ungheria di Viktor Orbàn ha fatto sapere che si opporrà al nuovo pacchetto di aiuti finanziari Ue a Kiev proposto da Ursula von der Leyen - ma anche col fronte interno. Il voto di Midterm col possibile ribaltamento degli equilibri parlamentari al Congresso a favore dei Repubblicani potrebbe porre fine al consenso finora bipartisan agli aiuti all'Ucraina.
In questo contesto si muove anche la diplomazia vaticana, con l'incontro a Roma tra l'arcivescovo di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, e Papa Francesco.
Nel frattempo, in Ucraina sono giunti i primi sistemi di difesa aerea Nasams, di progettazione norvegese, promessi mesi fa dalla Nato. Sono gli stessi utilizzati a Washington per la difesa della Casa Bianca e del Congresso.
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