La verità di Prigozhin: "Volevano scioglierci. Non era un golpe". Ma resta sotto accusa

Pronto a risorgere o condannato a scomparire? Il mistero Evgenij Prigozhin è ancora lontano dall'essere risolto

La verità di Prigozhin: "Volevano scioglierci. Non era un golpe". Ma resta sotto accusa
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Pronto a risorgere o condannato a scomparire? Il mistero Evgenij Prigozhin è ancora lontano dall'essere risolto. E lo dimostrano gli opposti effetti generati, in mattinata, dalle notizie sulla mancata chiusura delle indagini sul capo della Wagner e, in serata, da un clamoroso audio di 11 minuti diffuso dallo stesso Prigozhin. Un audio in cui il leader dei mercenari - oltre a far risentire la propria voce per la prima volta dopo 48 ore - rilancia buona parte delle accuse ai vertici della Difesa spiegando di aver lanciato la «marcia su Mosca» per protestare contro l'annunciato scioglimento delle sue milizie. «Non è stata una marcia per tentare un golpe, ma una marcia per la giustizia» - sottolinea Prigozhin - aggiungendo che la mossa «non serviva a prendere il potere e rovesciare il governo, ma a denunciare la cattiva conduzione delle operazioni militari in Ucraina». E soprattutto puntava a preservare le attività della compagnia militare condannata - secondo quanto ripetuto più volte nel messaggio - a cader vittima degli «intrighi» di un ministero della Difesa pronto a integrarla nell'esercito a partire dal 1° luglio. «Volevamo impedirne la distruzione e richiamare alle loro responsabilità quegli individui responsabili dell'enorme numero di errori commessi durante l'operazione militare speciale» spiega sottolineando che se l'organizzazione dell'intervento in Ucraina fosse stata affidata alla Wagner, anziché alla Difesa, la partita si sarebbe chiusa in 24 ore.

Ma la vera domanda è quale sia la relazione tra la diffusione di quell'audio e le notizie che in mattinata davano per certa la mancata archiviazione dell'inchiesta per «ribellione armata». Prigozhin l'ha reso pubblico in un atto di estrema difesa o si è semplicemente sentito libero di far sentire le proprie ragioni? Per capirlo partiamo dall'esplosivo articolo del Kommersant di ieri. L'articolo escludeva - come previsto dalla mediazione di Lukashenko - il perdono preventivo del capo pretoriano e dava per certa la continuazione delle indagini affidate ai Servizi di sicurezza federali (Fsb). Indagini definite essenziali per capire se il capo della Wagner avesse agito da solo o in combutta con qualche potenza straniera. Un'ipotesi già suggerita sabato dal presidente Vladimir Putin che, pur non citando per nome il suo ex chef l'aveva paragonato a quel Lenin spedito in Russia nel 1917 dal nemico tedesco per seminare il caos e far crollare il regno dello Zar. «Mutatis mutandis» Prigozhin potrebbe venir accusato, insomma, di fare il gioco del nemico americano. L'ipotesi di uno zampino «nemico» - sollevata tra le righe anche da fonti più o meno ufficiali come Ria Novosti, Interfax e Tass - è stata contemplata ieri anche dal ministro degli esteri Sergei Lavrov. Secondo Lavrov i servizi segreti americani «apparentemente speravano che l'ammutinamento del 24 giugno in Russia avesse successo» mentre il presidente francese «Macron vedeva nella rivolta un'occasione per cercare la sconfitta strategica della Russia». Il fatto che un'esponente di primissimo livello del Cremlino come Lavrov abbia usato la sua prima comparsa pubblica dopo gli eventi di venerdì e sabato per ipotizzare un complotto straniero ha fatto pensare a molti che il destino di Prigozhin fosse segnato. Un'ipotesi ridimensionata dalla stesso Lavrov che ha poi rivelato di aver ricevuto dall'ambasciatore statunitense a Mosca assicurazioni formali sulla completa estraneità di Washington.

In tutto questo restavano ieri totalmente aperte le illazioni sul luogo in cui si sarebbe ritirato Prigozhin e dove sarebbero confluiti i circa 25mila uomini della Wagner. Questi e altri interrogativi hanno trovato parziale risposta poco prima della diffusione dell'audio di Prigozhin. A metà pomeriggio fonti giornalistiche bielorusse rendevano noto l'«avvistamento» del capo mercenario presso il Green City Hotel di Minsk. Quasi contemporaneamente un canale Telegram della Wagner pubblicava un post intitolato «riguardo al ridispiegamento della Wagner». Nel post si vede una cartina sormontata da una freccia rossa che partendo da Bakhmut gira alle spalle di Kharkiv, entra in territorio russo e va a posizionarsi nei territori bielorussi a Nord di Kiev. Insomma sia la cartina sia il presunto avvistamento del capo della Wagner fanno capire che alla fine l'accordo sottoscritto con la mediazione di Lukashenko verrebbe rispettato trasformando la Bielorussia nel nuovo territorio operativo della «compagnia militare privata» e del suo capo.

La scottante questione Wagner/Prigozhin sarebbe stata risolta, insomma, trasferendola dalla scacchiera di Putin a quella del presidente bielorusso Lukashensko. Un presidente risultato alla fine più succube che mediatore.

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