Capiterà, prima o poi, che un petroliere saudita o un magnate qatariota si alzerà in piedi nella tribuna d'onore dell'Allianz Stadium con una sciarpa bianconera al collo. Raccoglierà la standing ovation, congiungerà le mani, ringrazierà con un inchino. Poi compiterà un minuscolo appunto in un italiano spaventoso, da traduzione automatica malriuscita, per presentarsi come il nuovo padrone del club bianconero. È già successo in tutte le grandi piazze mondiali del calcio, figurarsi se il vento impetuoso della globalizzazione risparmierà la Vecchia Signora, oggi debole e acciaccata ma sempre irresistibile per milioni di corteggiatori innamorati.
Sotto la Mole, nel chilometro quadrato di un salotto snob e secolare, un cambio di proprietà apre uno scenario quasi impensabile dal punto di vista storico-culturale, ma anche del costume. Cento anni di proprietà Agnelli valgono un'era geologica in Italia, dove le grandi famiglie dell'altissima borghesia hanno lasciato il campo ai nuovi capitalisti del football, da grandi gruppi stranieri ad avventurieri di risulta.
A Torino la Juventus resta e resterà la famiglia Agnelli, una formula di comodità popolare che ingloba anche il ramo Elkann per quanto sia da tempo maggioritario. Da bambino affascinavano i racconti del nonno con il monocolo sulle conversazioni in dialetto forbito ed elegante con un giovane Gianni Agnelli al Circolo Sporting dopo le partite allo Stadio Comunale. E da adulto spuntavano come funghi le millanterie di attempati vitelloni che favoleggiavano di serate al night con l'Avvocato, magnanimo nel parlare di calcio con l'ultimo arrivato tra un drink e un rullo di batteria. In realtà l'incontro finiva con una impacciata stretta di mano della durata di secondi uno, ma la leggenda ha suggestionato almeno due generazioni di torinesi. Vere erano le incursioni di Donna Marella nelle grandi mostre artistiche, in coda tra visitatori e turisti come una regina altera e silenziosa. Autentico anche il vissuto cittadino di Andrea Agnelli, l'ultimo presidente della Real Casa, con abitazione, ufficio e frequentazioni in pieno centro, sotto gli occhi di tutti. Eh sì, Andrea, Andrea. Per i tifosi riconoscenti l'artefice dei 9 scudetti consecutivi e di due finali di Champions, per quelli esasperati dagli ultimi flop la causa di tutti i mali. In casa Juve vincere è l'unica cosa che conta.
In attesa di alzare la Coppa grazie ai soldi dell'emiro che verrà, riproviamoci umilmente con i discendenti di Gianni e Umberto Agnelli. La nostalgia è una brutta bestia, ancora peggio della fede calcistica quando si perde da troppo tempo.
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