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Zoom molla Zoom. È la fine dello smart working?

Anche Amazon e Disney richiamano i dipendenti. E varano il lavoro ibrido

Zoom molla Zoom. È la fine dello smart working?

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Zoom rinuncia alle riunioni su Zoom. La piattaforma di telecomunicazioni che ci ha salvato la vita (lavorativa) in pandemia dice stop allo smart working. O meglio, lo ridisegna. E pensare che se tutti noi abbiamo potuto «timbrare» da casa è stato proprio grazie ai collegamenti video che ci ha fornito. L'azienda californiana cambia passo e chiede al personale di tornare in ufficio per serrare i ranghi in un momento di crisi. L'idea è quella di varare una formula nuova di lavoro a distanza, un «approccio ibrido strutturato»: le persone che vivono entro 50 miglia (80 km) da un ufficio dovrebbero lavorare di persona almeno due volte a settimana.

Non sono mesi facili per Zoom. Dopo una crescita improvvisa e inaspettata, i collegamenti sono precipitati in tutto il mondo. Più i dipendenti sono tornati a lavorare in presenza, più la app di Zoom è stata ignorata dagli schermi dei telefonini, relegata tra le icone meno cliccate. Dalle stelle alle stalle. Tanto che il gruppo a febbraio ha licenziato 1.300 dipendenti, uno su sette. Il suo fondatore e ad Eric Yuan si è ridotto del 98% lo stipendio: da mezzo milione a 10mila dollari annui.

Ora si torna come al pre Covid. È l'ultimo caso di una grande azienda a ridurre le politiche di lavoro flessibile. Anche Amazon e Disney hanno tagliato i giorni di smart working. Lo stesso presidente Usa Joe Biden si è detto contro lo smart working dei dipendenti federali. Il presidente ha chiesto al suo governo di «attuare in modo aggressivo» una strategia per far rientrare in ufficio migliaia di impiegati il prossimo autunno. «Vogliamo tornare al lavoro in persona perché è fondamentale per il benessere dei nostri team e ci consentirà di offrire risultati migliori al popolo americano. Questa è una priorità del presidente» si legge nel messaggio inviato a tutti i dirigenti delle agenzie federali Usa. Lo smart working a Washington ha causato la chiusura di centinaia di bar, ristoranti e negozi con un impatto devastante sull'economia della capitale tanto che la sindaca Muriel Bowser aveva chiesto un'azione decisa della Casa Bianca. Anche i repubblicani al Congresso avevano fatto pressioni su Biden per mettere uno stop al lavoro a distanza accusandolo di essere la principale causa di ritardi e lungaggini, mentre per i democratici e alcuni sindacati il punto non è lo smart working, ma la carenza di fondi per assumere nuovi dipendenti.

È finita un'era? Presto per dirlo. Il lavoro a distanza ci è piovuto sulla testa in piena emergenza: nel giro di una manciata di ore abbiamo scaricato app, sgomberato scrivanie, ripristinato wi-fi e improvvisato i nostri nuovi uffici nel soggiorno di casa. Con la camicia e la cravatta dalla cintola in su e i pantaloni della tuta sotto. Un incubo? Un privilegio che ha salvato i pendolari dall'esaurimento nervoso? Entrambe le cose. Fatto sta che ora molti dipendenti lo considerano un diritto acquisito e che, viceversa, molti datori di lavoro lo vorrebbero archiviare. Le trattative aziendali dei prossimi mesi verteranno proprio su questo: come regolare lo smart working ora che lo smart working non serve più. La via più plausibile sembra quella delle formule ibride, cioè di parte della settimana in presenza e parte in remoto.

L'ultima conversione del Decreto lavoro alla Camera ha prorogato al 30 settembre il diritto per i lavoratori fragili nel settore pubblico e privato di connettersi da casa. Proroga fino al 31 dicembre per i genitori lavoratori dipendenti del settore privato con almeno un figlio minore di 14 anni, anche in assenza degli accordi individuali. Dopo di che, saranno gli accordi all'interno di ogni singola azienda a regolare le modalità di lavoro e il livello di flessibilità. Valutando pro e contro. Esigenze aziendali e qualità di vita dei dipendenti. In base alle analisi dell'Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, il lavoro da remoto permette ai dipendenti di risparmiare 600-1000 euro all'anno in spese di trasporto e alle aziende di ridurre i costi di almeno 500 euro a postazione.

Netto il beneficio ambientale: ogni dipendente produrrebbe 450 kg di CO2 in meno.

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