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Quel mattatore di Bobo, scorbutico con tutti

Quel mattatore di Bobo, scorbutico con tutti

Tony Damascelli

È un’altra stazione. Basta consultare l’almanacco del calcio alla voce Christian Vieri, nato a Bologna il 12 luglio 1973, emigrato in Australia per motivi di famiglia, rientrato nel suolo patrio, passato dal calcio minore a quello più illustre che lui stesso ha illustrato con i gol e non soltanto con quelli, dovunque e comunque. Dicevano e scrivevano che non avesse i piedi, in verità rispetto a tanti altri cavalloni d’area di rigore Vieri detto Bobo in onore del padre Roberto, talento pigrissimo del calcio che fu, Vieri appunto ha sensibilità nel tocco che però deve fare i conti con quel fisico da Tir che lo trasforma spesso in figura goffa e antiestetica. Ma tant’è, nel football contano i fatti e nel caso di un attaccante i fatti si traducono: gol. Vieri ne ha segnati moltissimi, di testa e di piede, di potenza e di prepotenza che sono poi i sostantivi che accompagnano la sua vita e la sua carriera, in campo e fuori. A parte qualche agiografo e/o cortigiano, è cosa nota che il neoacquisto del Milan abbia un carattere bizzarro, per usare un aggettivo morbido, con comportamenti maleducati, reazioni clamorose con l’avversario, l’arbitro, il giornalista, il dirigente, l’allenatore, cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
Con il passare degli anni e della gloria Vieri è diventato un protagonista dello star system, imprenditore, mattatore, sciupafemmine, tutto quello che un calciatore moderno sa e può fare, ogni tanto ricordandosi di essere anche un professionista ben pagato, anzi troppo ma non certo per colpa sua.
C’è stato un tempo, non lontano, durante il quale Vieri è stato l’attaccante più forte in Europa e forse al mondo, un tempo in cui qualunque cosa gli riusciva facile e immediata. Poi il logorio della vita moderna ha intossicato i suoi muscoli, la sua visibilità è risultata un boomerang che è tornato al mittente, i suoi sfoghi pubblici lo hanno reso improvvisamente scomodo e antipatico, cafone e scorbutico, difficile, se non impossibile, da gestire dai suoi stessi gestori, procuratore compreso.
L’epilogo della sua avventura interista, già storica per la durata del connubio, conferma questa tendenza, la rescissione del contratto è come un calcio al microfono già sapendo che tanto verrà sostituito da un altro più nuovo e moderno.
Non avrà spese di trasloco, resterà nella sua culla milanese che gli ha consentito di vivere come desiderava, troverà un sodale antico come Pippo Inzaghi e un socio di ditta come Paolo Maldini, si allenerà e giocherà pensando allo scudetto, alla Champions e al mondiale (9 partite 9 gol in due edizioni, non male) che sono il massimo per un calciatore, per di più di trentadue anni.
Lo aspetta un derby velenoso, il popolo interista già non lo amava, figuratevi oggi che facendo marameo il «mercenario» ha superato il Naviglio. Basta aspettare. Il 20 luglio è in calendario il primo incontro tra le parti, in un torneo amichevole.

Avvisate i famigliari e tenete d’occhio i microfoni.

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