Cronaca locale

I ventitré giorni della vergogna

Per più di tre settimane i rom hanno occupato la casa di un 86enne romano. Per cacciarli ha dovuto aspettare lo sfratto del giudice. Ecco perché bisogna cambiare subito la legge

I ventitré giorni della vergogna

Una storia colpisce in questa Italia alle prese con il Pnrr, il rilancio dell'economia, la transizione energetica, la costruzione di nuove infrastrutture e via dicendo. È la storia di Ennio Di Lalla: anni 86, ex dirigente dell'Acea adesso in pensione. Gli ci sono voluti ventitré giorni (ventitré!) per rimettere piede nel proprio appartamento, nel quartiere romano di Don Bosco, dopo che alcuni rom glielo avevano occupato. È la storia di un vuoto normativo che obbliga i legittimi proprietari ad andarsene con la coda tra le gambe e aspettare che un giudice firmi lo sfratto e restituisca quel che gli appartiene di diritto. Ma è anche la storia di un sopruso che resterà quasi sicuramente impunito (quanti ce ne sono ogni giorno!) e che vede una nomade, appena sgomberata dalle forze dell'ordine, andarsene come se nulla fosse e promettere: "Lo rifaremo".

L'appartamento, Ennio Di Lalla, lo aveva lasciato per andare a fare alcuni accertamenti in ospedale, un Ecg e altre visite di routine. Eh sì, perché l'anziano malcapitato è pure cardiopatico e forse è anche per questo motivo che è stato preso di mira. Quando, dopo un paio di giorni ha fatto rientro nel suo quartiere, nulla sembrava essere cambiato. La toppa di casa, quella sì che era cambiata. E pure il nome che c'era scritto sul campanello. Le chiavi per aprire non giravano più e, quando aveva insistito pestando contro la porta e suonando ripetutamente il campanello, si era affacciata uscita una signora che, brandendo in braccio un bimbo, gli aveva intimato di andarsene perché quella casa era diventata sua. Il contratto della luce era già stato cambiato e anche sulla buca delle lettere figurava un nome nuovo. A dir poco surreale.

In un Paese normale, in una situazione del genere, la vittima si rivolge alla polizia e questa, con le buone o con le cattive, sbatte fuori gli occupanti (magari li arresta pure, visto che la proprietà privata dovrebbe essere inviolabile). Non in Italia. Non essendoci la flagranza di reato, gli agenti hanno le mani legate. E così succede che bisogna sporgere denuncia e aspettare. Aspettare che un giudice firmi l'ordine di sfratto. E i giorni passano.

Ennio Di Lalla ne ha aspettati ventitré.

Nel frattempo è andato ospite dal fratello. Nel frattempo gli occupanti gli hanno letteralmente devastato casa. "C’erano decine, che dico, centinaia di sigarette spente sul tavolo. La pipì del loro cane, un dogo, sparsa dappertutto", racconta in una intervista al Corriere della Sera. Dopo aver visto lo scempio lasciato dai nomadi si è sentito male. "In 23 giorni hanno avuto perfino il tempo di traslocare - spiega - dentro c’è un televisore che non è mio, hanno cambiato pure le tende del salotto". Adesso dovrà ripulirla da cima a fondo. Dopo lo sfratto, il gip ha sequestrato l'immobile e ne ha nominato il signor Ennio custode. "Sono il custode di casa mia...", commenta sconsolato.

Purtroppo la storia di Ennio Di Lalla non è un caso isolato. Il Tempo ha fatto un po' di ricerche e ha pubblicato i numeri dello scandalo: in tutto il Paese ci sono almeno 30mila case occupate, settemila sono a Roma. E non stupisce il fatto che nel palazzo dell'86enne ci siano anche altri due stabili in mano agli abusivi. Sono questi che hanno avvertito i rom? Possibilissimo. Il problema, però, sta tutto nella quasi impossibilità ad avere la meglio su questi criminali. Quello di Di Lalla è diventato un caso mediatico ed è riuscito ad avere la meglio nel giro di tre settimane. Ma tutte le altre vittime? Sempre sul Tempo Francesco Storace spiega che un deputato della Lega, Manfredo Potenti, sta lavorando a una legge "per estirpare una piaga sociale ormai dilagante". È la strada giusta da percorrere.

E bisogna farlo al più presto.

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