
Mantenendo quanto scritto la scorsa settimana, apro un ulteriore approfondimento sul tema della verità da avere innanzitutto con se stessi. È frequente in confessionale sentir dire: «Non prego, non vado a Messa, impreco contro Dio e persino mi scappa qualche bestemmia». Poker! 4 su 4. Tutto questo incorniciato dalla premessa: «Quanto mi pesa confessarmi!». La mia risposta a volte è: «Ma scusi, ha mai pensato che forse le è più conveniente smettere di essere cristiano? Non avrebbe più noiosi obblighi di cui rispondere, come se le interessasse davvero, o elementi inevasi da rimproverarsi apparentemente, oltre che non perderebbe tempo a confessarsi» (anche se le file di attesa ormai sono solo un ricordo impolverato). È come se uno si definisse «calciatore» e poi non entrasse mai in un campo, non seguisse mai una partita di alcuna squadra, non facesse mai allenamento o nemmeno si ricordasse quanto tempo è passato dall'aver fatto anche solo un palleggio. Calciatore? Mah!
Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) teologo, partigiano e pastore protestante tedesco, provocava: «Se fossimo in tempo di persecuzione e venissimo tacciati di essere cristiani, troverebbero prove sufficienti per accusarci?». Mi sono fatto un profondo esame di coscienza: se decidessi di smettere di essere cristiano cambierebbe qualcosa nel mio modo quotidiano di vivere? Sarebbe diverso il mio stile di affrontare l'esistenza? Qualcuno si accorgerebbe che è cambiato qualcosa in me? Se da un lato potrebbe sembrare solo una questione per credenti, in realtà
questa ricerca interiore è condivisivamente interreligiosa e profondamente laica in quanto «antropologica» cioè legata alla scelta di ognuno di essere coerente con i valori che professa. Quanta dissonanza c'è nella quotidianità tra audio e video, tra quello che si dice e quello che si fa.
Condivido un fatto che mi è successo. In un viaggio avevo accanto un uomo di origini mediorientali. Vedendo che ero un prete mi ha chiesto se potessi aiutarlo a capire alcuni atteggiamenti dei cristiani, raccontandosi così: «Mi sono trasferito per lavoro in un paese della periferia. Ho iscritto la mia bambina all'asilo per integrarla. Ho specificato che siamo di fede islamica e quindi chiedevo un'attenzione particolare per il cibo a mensa. Dopo qualche giorno, la maestra mi ha fatto notare che come segno di rispetto verso mia figlia era stato levato il crocifisso dall'aula. Sono tornato a casa e ho pensato molto a questo gesto. Ho deciso allora di togliere la mia bimba da quell'asilo. La direttrice è rimasta basita quando le ho spiegato il perché: se tu non rispetti il tuo Dio, come puoi rispettare mia figlia? Se subito cambi idea sul tuo Dio, come posso fidarmi di te?». Quanti avrebbero la stessa forza e la stessa coerenza?
Mi faccio aiutare per la conclusione da Papa Leone XIV. Tra le parole pronunciate dal nuovo Pontefice, in questo primo mese, c'è «verità». Ha detto: «Non si possono costruire relazioni veramente pacifiche senza verità. Vale per la comunità internazionale e per ciascuno nel piccolo. Laddove le parole assumono
connotati ambigui e ambivalenti e il mondo virtuale, con la sua mutata percezione del reale, prende il sopravvento senza controllo, è arduo costruire rapporti autentici, poiché vengono meno le premesse oggettive e reali della comunicazione. Da parte sua, la Chiesa non può mai esimersi dal dire la verità sull'uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche ad un linguaggio schietto, che può suscitare qualche iniziale incomprensione. La verità ha sempre la preoccupazione per la vita e per il bene di ogni uomo e donna. La verità non è l'affermazione di principi astratti e disincarnati. Si tratta di una sfida che ci riguarda da vicino, chiamando ciascuno all'impegno di portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, non separa mai la ricerca della verità dall'amore con cui umilmente dobbiamo cercarla. Chi smaschera intrighi o manovre per ottenere vantaggi personali non attacca, ma serve la verità.
E chi viene toccato da queste verità, dovrebbe mettersi in questione, non reagire come un infastidito colto in fallo». Sono convinto che sia proprio così e che è vero non perché lo dice il Papa, ma che lo dice il Papa perché è vero.