Società

Lo smart working tra rinnovi e aspetti critici

La possibilità di lavorare da remoto è stata prorogata al 30 giugno, ma solo per due categorie di dipendenti. Il dibattito sull'utilità dello smart working è ancora aperto, presentando esso lati sia positivi che negativi

Lo smart working tra rinnovi e aspetti critici

L’ultimo decreto Milleproroghe ha previsto dal 28 febbraio al 30 giugno un prolungamento del regime straordinario di lavoro agile senza accordo scritto tra datore e dipendente. Lo smart working senza accordo aziendale è stato prorogato per due categorie di lavoratori: i fragili e chi ha figli sotto i 14 anni. Tale diritto può essere fatto valere a condizione che nel nucleo famigliare non vi sia un altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito e che la modalità di lavoro agile sia compatibile con le caratteristiche della prestazione da rendere. Viene prorogato il lavoro agile (in scadenza il 30 marzo) fino al 30 giugno per i lavoratori del pubblico e del privato “fragili”, cioè affetti da una delle patologie gravi indicate dal Ministero della Salute nel decreto del 4 febbraio 2022.

I lavoratori hanno diritto al lavoro da remoto per tutte le ore in cui devono essere impiegati; nel caso di incompatibilità della mansione con il lavoro in smart, il dipendente può essere assegnato a un’altra mansione nella stessa categoria purché lo stipendio resti lo stesso. Il decreto reintroduce lo smart working per i genitori con figli under 14 fino al 30 giugno, ma solamente per chi lavora nel settore privato. Per i dipendenti pubblici non ci sarà questa possibilità.

Smart working in auge anche dopo la pandemia

Secondo l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, i lavoratori da remoto oggi sono circa 3,6 milioni, quasi 500mila in meno rispetto al 2021. In piena pandemia erano 7 milioni, un terzo della totalità dei lavoratori dipendenti, mentre adesso rappresentano appena il 14,9%, stando ai dati Inapp – Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche. Circa la metà di tutti gli smart worker d’Italia lavora nelle grandi aziende: 1,84 milioni dopo il picco di 2,1 milioni toccato durante la pandemia. Il 91% delle grandi imprese ha deciso di adottare il lavoro a distanza, mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese, soprattutto per venire incontro alle esigenze dei propri dipendenti, per risultare attraente agli occhi dei candidati e per ridurre il tasso di abbandono. Invece, nelle piccole e medie imprese il tasso di utilizzo è passato dal 53% al 48%, in media per circa 4,5 giorni al mese.

Nel pubblico cala il lavoro in presenza

Nella pubblica amministrazione il picco di lavoratori da remoto è stato toccato in piena pandemia, quando più della metà (1,8 milioni) dei dipendenti ha avuto la possibilità di lavorare da casa. Con la fine dell’emergenza sanitaria molte realtà sono tornate ai modelli di lavoro tradizionali e così il lavoro a distanza ha registrato una contrazione del 70%. Attualmente si stima che i lavoratori pubblici a cui è data la possibilità di lavorare da remoto siano 570mila, il 33% in meno rispetto allo scorso anno. In particolare, l’utilizzo dello smart working è stato adottato nel 2022 solo nel 57% degli enti, a fronte del 67% dell’anno precedente, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese.

Pro e contro dello smart working

L’applicazione dello smart working permette di abbattere i costi di spostamento e di ottenere benefici a livello ambientale riducendo le emissioni di CO2. Gli smart worker godono di maggiore flessibilità e riescono a conciliare meglio il lavoro e la vita privata, il che può portare a una maggiore soddisfazione sul lavoro.

Gli svantaggi dello smart working sono: le distrazioni domestiche, che riducono la concentrazione; la mancanza di comunicazione rapida ed efficace con i colleghi; l’isolamento sociale.

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