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"After life 2", ovvero come motivarsi con il pessimismo comico

I nuovi episodi, sempre politicamente scorretti, sono più spensierati: divertimento e struggimento hanno maggiore alchimia e si sentono i benefici della psicologia inversa.

"After life 2", ovvero come motivarsi con il pessimismo comico

"After Life", serie tv uscita lo scorso anno su Netflix, aveva conquistato pubblico e critica. La seconda stagione, che abbandona il pessimismo cosmico per un rinnovato pessimismo comico, debutta domani, sempre sulla stessa piattaforma, e chi scrive ha avuto accesso in anteprima ai primi tre episodi.

Al centro del racconto c'è ancora il periodo di afflizione vissuto da un uomo di mezz'età che non riesce a elaborare la prematura scomparsa, causa cancro, dell'adorata moglie. Diciamo subito che chi pensa, visto il tema, che la visione sia sconsigliata in un periodo di scoraggiamento di massa come questo, si sbaglia. La differenza, come sempre, sta nel decidere se cogliere i preziosi messaggi in bottiglia a nostra disposizione o lasciarli andare invisibili nei flutti dell'oceano di proposte video.

Il mood della nuova stagione è decisamente meno triste, come è giusto che sia: la prima era la descrizione perfetta del periodo fisiologico del lutto, una fase buia che (vi alludeva l'ultimo episodio) non è il vicolo cieco in cui una persona crede di trovarsi.

Ricky Gervais, noto comico (il suo discorso politicamente scorretto agli ultimi Golden Globe divenne virale anche da noi), è qui oltre che l'attore principale, anche il produttore e regista. L'anno scorso avevamo visto il suo Tony aver deciso di non togliersi la vita per continuare a dare da mangiare al cane e anche un po' per punire il mondo, iniziando a dire e fare tutto senza autocensure. Negli episodi inediti lo ritroviamo in versione apatica, deciso a rimettersi in sesto e a cercare di essere una persona migliore anziché odiare tutti. E' ancora bisbetico e reticente a fare cose che non gli va di fare ma ha smesso di voler creare il maggior disagio possibile alle altre persone. In compenso ha scoperto di sentirsi in colpa per chi sta peggio di lui e che ogni scusa è buona per bere. Trascorrere la serata con un bicchiere in mano, davanti a un video della moglie morta, è il suo nuovo rito e diventa l'abituale situazione elegiaca che conduce ogni volta lo spettatore alla sigla finale.

Ritroviamo gli esilaranti personaggi secondari che ci fecero innamorare: la compagna di panchina cimiteriale (Penelope Wilton), la “professionista del sesso”(Roisin Conaty), il postino (Joe Wilkinson), lo psichiatra (Paul Kaye), i colleghi di lavoro, il mitomane che si inventa qualsiasi cosa per finire sul giornale e così via. Continuano a essere appena tratteggiati eppure sempre dirompenti, alcuni patetici in modo esilarante, altri comicamente eclettici tra menefreghismo e superficialità. Sono loro la linfa vitale di "After Life", un regno sospeso tra vita vera e sit-com in cui ti ritrovi il postino nella vasca, un maestro di meditazione intollerabile oltre i due minuti, una vicina di scrivania convinta che gli angeli odorino di cannella e altre bizzarrie assortite una più gustosa dell'altra. Il cinismo puntuto, riflessivo e intenso del protagonista fa da collante a situazioni in cui i sentimenti, seppur taciuti, abbondano.

A questo giro, le visite di Tony al padre in ospizio avranno vantaggi secondari interessanti e i nuovi fenomeni locali (leggi casi umani), di cui scrive per il giornale gratuito del posto, saranno ancora una delizia. Per intenderci, se finora l'uomo aveva avuto a che fare con flauti suonati con le narici, macchie d'umidità somiglianti a Kenneth Branagh e budini di riso fatti con latte materno, ora si trova a indagare su aggressioni sessuali paranormali e a intervistare una centenaria il cui umore è tutto un programma.

Dialoghi a dir poco brillanti, personaggi amabilmente diversi e una dolcezza crepuscolare che ricorda quella del bellissimo film "Still Life", sono gli ingredienti di una serie tv che si gioca tutta su una specie di psicologia inversa.

"After Life", infatti, sembra voler indurre nello spettatore un atteggiamento opposto a quello di cui gli sottopone la visione: esplorando le difficoltà di Tony, ci induce a individuare gli spiragli di luce che vorremmo lui vedesse e, in questo modo, fa prendere coscienza a noi di averli a disposizione.

Ecco perché una semplice serie tv, dalla sinossi apparentemente indigesta (il post-lutto), è in realtà un'occasione importante per chi vive la finestra temporale attuale denominata quarantena. Mostra gli atteggiamenti da non avere, permette di focalizzare cosa sia realmente importante e fa riflettere chi ne ha voglia. Tutto quanto continuando a divertire.

Scusate se è poco.

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