Cultura e Spettacoli

«Il cinema ci salva dalla tristezza. Ai bimbi insegno a guardare»

L'artista al Festival di Locarno: «Oggi è più difficile raccontare storie: anche la realtà ormai è virtuale»

«Il cinema ci salva dalla tristezza. Ai bimbi insegno a guardare»

da Locarno

In un mondo senza direzione l'unico rimedio è l'ottimismo. La realtà virtuale popola le strade di zombie con la testa immersa nel telefonino. Il disorientamento ha le mille forme dei problemi che seminano ostacoli. La violenza la fa da padrona. Le armi si moltiplicano. Eppure per Laurie Anderson che ieri sera a Locarno ha ricevuto il Vision award non c'è niente di meglio che avere e donare fiducia. La vedova di Lou Reed - al tempo stesso musicista e regista, performer e artista - indefinibile nella sua multiforme attività, ha il tono scanzonato dei più giovani e la saggezza dei coetanei. Nel suo film di qualche anno fa - Heart of a dog - ha inserito una frase di Kierkegaard che s'intona perfettamente al suo stato d'animo. «La vita si può capire solo guardando indietro. Però, si vive in avanti». Il risultato dell'addizione è che conviene dimostrarsi positivi rispetto al domani.

Sicura che vada tutto bene?

«Forse no, forse no ma sono un'ottimista convinta, per una ragione semplice e forse un po' stupida».

La dica.

«Beh, facile. Permette di avere una vita migliore di chi è pessimista».

Un po' troppo lineare.

«Cosa vuole, da artista cerco di migliorare quello che mi aspetta perché ognuno ricerca la felicità. È umano».

Però, intorno a noi, sembrano ben pochi i motivi di speranza.

«Siamo tempestati da note tragiche e fatti terribili. Fuor di dubbio».

Che cosa teme...

«Una nuova pandemia che si porti via milioni di persone».

Quindi c'è poco da stare allegri.

«Tutt'altro. Alla tristezza non lascio partita vinta. Le difficoltà vanno affrontate, non si deve fare nostra quella tristezza. Le calamità non devono bloccarci né impedirci di combattere».

Appunto, combattere.

«Sono americana e, per questo, molto preoccupata».

Il motivo.

«Circolano troppe armi, siamo il Paese più violento del mondo. Sembra di trovarsi sull'orlo di una guerra civile».

Quanto a violenza, la Russia vi sta superando.

«Vero, ma quello è un altro conflitto, profondamente diverso da quello subliminale a stelle e strisce».

Scusi, ma l'ottimista dove è finita.

«Fortunatamente esiste il cinema e quando ci si trova proiettati in un'altra realtà, anche solo per un paio d'ore. Beh, è una magnifica sensazione, a fine spettacolo, guardarsi intorno per capire dove siamo e re-impossessarsi del corpo e della geografia».

Vuol dire essere entrati nel film.

«E averne fatto parte».

Che cosa ha visto recentemente

«Proprio ieri qui al festival di Locarno: Where is the street, portoghese. Bellissimo. Uno stupendo ritratto di Lisbona, senza una storia specifica. Una serie di immagini suggestive e una canzone finale. Tutto qui».

Detto da «una narratrice di storie».

«Anche questa dimensione sta cambiando. Perfino la realtà è virtuale».

Come si trova?

«Serve il corpo per poter vivere questa esperienza. D'altronde oggi tutti girano con la testa nel telefonino».

Ma lei ha scelto di dedicarsi ai bambini.

«Ho voluto offrire un'alternativa all'uso aggressivo e brutale dei videogiochi. Tento di insegnare il gusto dello sguardo. Il piacere di volare. È bello rivolgersi a loro creando qualcosa che, per una volta, non invita a uccidere».

Eppure il suo film «Heart of a dog» parla anche di morte. Sua madre e la cagnolina Lollabelle.

«Due casi opposti».

Cominciamo dalla mamma.

«Non credo di averle mai voluto bene né di essere mai stata amata da lei ma, quando era in fin di vita, dentro di me ho sentito l'esigenza di confessarle che provavo sentimenti. È morta prima che lo facessi».

Che rapporto ha con i cani.

«Sono empatia e danno energia. Vivono con noi da millenni. Ci aiutano e ci insegnano tanto».

Ma quando se ne vanno è il disastro.

«Il rimpianto fa parte della nostra esistenza. Se non ci fosse il rimpianto non ci sarebbe nemmeno la musica, senza la quale è impossibile vivere».

Le canzoni parlano di amore, più che altro.

«All'apparenza. In realtà a dominare è sempre la nostalgia e il dolore di ciò che si è perduto».

Il rimpianto, però, ha il sapore della sconfitta.

«E chi non ha mai perso a questo mondo. Nei suoi testi Bob Dylan ha raccontato i perdenti rendendoli protagonisti. Succede a tutti di perdere qualcuno o qualcosa».

L'animo umano cerca di evitare il confronto. Dà troppo dolore.

«Viviamo in un sistema in cui ci hanno insegnato che più hai meglio stai».

Invece

«Invece avvertire il senso di perdita è un'esperienza molto profonda che ti riavvicina agli altri.

E aiuta a ritrovarsi».

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