Cultura e Spettacoli

"Essere la madrina qui mi rende orgogliosa, ora torniamo tutti in sala"

L'attrice napoletana tifa per Sorrentino, Martone e Di Costanzo. "Gli Usa mio modello"

"Essere la madrina qui mi rende orgogliosa, ora torniamo tutti in sala"

Una, nessuna o centomila? È Serena Rossi, capace di passare con nonchalance dalla fiction di lunga serialità come Un posto al sole o il recente grande successo di Mina Settembre su Rai1 al teatro musicale (è stata Rosetta in Rugantino), alla conduzione televisiva (ad esempio Canzone Segreta), al cinema di commedia in cui ancora una volta torna la musica come in Song 'e Napule e Ammore e Malavita dei Manetti Bros. con cui ha stretto un lungo sodalizio artistico che la vedrà protagonista anche nell'attesissimo Diabolik. E proprio per Ammore e Malavita, con cui ha vinto tutti i premi come migliore attrice (David di Donatello, Nastro d'Argento e Ciak d'Oro), è stata in concorso alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia che ora l'ha scelta per condurre la serata di apertura, stasera, e quella di chiusura, sabato 11 settembre.

Ma Serena Rossi è già da qualche giorno al Lido dove si è concessa, con eleganza minimale, ai tradizionali scatti dei fotografi all'imbarcadero dell'Hotel Exclesior, accompagnata dal direttore della Mostra, Alberto Barbera. Napoletana verace, 36 anni compiuti ieri, Serena Rossi, un fidanzato e collega dal quale ha avuto un figlio, è pronta a fare la madrina del più antico festival del mondo.

A proposito le piace il termine madrina? Sa, ai tempi del metoo

«Non solo mi piace ma lo porto con grande orgoglio. È davvero emozionante sentire il peso e la responsabilità di un ruolo istituzionale. Non dormo da un po' di notti, ripeto fino allo sfinimento il discorso inaugurale. Ma so anche che devo dimenticarlo per poi dirlo con l'emozione, non con la memoria».

Lei è un'artista poliedrica.

«Mi sono battuta per questo da sempre, quando ho iniziato 20 anni fa c'era un po' di resistenza, o attrice o cantante o conduttrice».

E lei cosa ha scelto?

«Ma perché dovevo scegliere? Perché avrei dovuto rifiutare di fare tutte le cose che mi piacciono? È mia questa libertà e me la sono conquistata avendo un preciso punto di riferimento».

Quale?

«Ho sempre guardato con ammirazione a ciò che succede dall'altra parte dell'Oceano, negli Stati Uniti. Poi certo tutto questo per me ha voluto dire fatica, impegno, sacrifici ma anche tante gioie».

In Italia però fino a qualche anno fa le porte del cinema erano chiuse agli attori televisivi.

«Il mio primo giorno su un set cinematografico ero un po' in apprensione, come se dovesse o potesse succedere chissà che cosa di strano. Ma un attore è un attore a prescindere dalla grandezza dello schermo».

Dalla lunga serialità televisiva che cosa ha imparato?

«È una palestra pazzesca che mi ha formato. È una catena di montaggio che ti insegna a stare sul set e a scoprire piccoli segreti che poi ti rendono tutto più facile, come ad esempio saper prendere la luce. Gli operatori mi dicevano che ero una lenza, su questo».

In tutto questo trova anche il tempo di dedicarsi al sociale

«Sto seguendo il progetto all'avanguardia Car-t per curare grandi e bambini con cellule tumorali avanzate. È un ultimo faro di speranza. Mi è stato chiesto di leggere una favola raccontata ai più piccoli che stanno in ospedale, un po' per rassicurarli e coccolarli dal momento che a volte neanche i genitori possono stare con loro».

Lei è espressione verace di un certo mondo partenopeo che affascina sempre il pubblico.

«Ma non è che mi impegno e dico mo faccio la napoletana. Naturalmente è una cosa per me naturale. Certo c'è tutta una tradizione, da un punto di vista storico e culturale, che, vuoi o non vuoi, alla fine viene fuori. E poi c'è l'approccio un po' fatalista che a noi napoletani fa dire che se c'è un problema, alla fine tutto si può risolvere, con sarcasmo e leggerezza, ma rimanendo sempre seri. Mi aspetto di trovare tutto questo anche qui al Lido, nei film di Sorrentino, Martone, Di Costanzo».

Intanto però, in uno dei film più attesi dell'anno, Diabolik dei Manetti Bros. ci sarà lei.

«Interpreto Elisabeth Gay, la prima fidanzata di Diabolik. I Manetti, con cui adoro lavorare perché con loro sul set torno sempre bambina, questa volta mi hanno trasformato, ho un accento nordico e gli occhi viola».

Il film uscirà il 16 dicembre, le manca la sala cinematografica?

«Mi manca il pubblico, la promozione dei film con i saluti in sala e il contatto con gli spettatori. Ma, rispetto allo scorso anno, ora non ci sono più scuse, tutti con il Green Pass possiamo e dobbiamo andare al cinema. C'è un'esplosione di film in sala e io ne vedrò più che posso.

Ho sete di tornare al buio».

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