Cultura e Spettacoli

Il gioco della vita nascosto in "Free Guy"

Un’opera di cui fruire come intrattenimento disimpegnato ispirato ai videogiochi, oppure da assaporare come una sorta di meditazione sulla coesistenza di più dimensioni esistenziali

Il gioco della vita nascosto in un film fresco e divertente: “Free Guy”

Free Guy -Eroe per gioco, commedia fantasy di Shawn Levy che vede Ryan Reynolds in veste di protagonista e produttore, è un film molto più profondo di quanto non dia a vedere. Certo, la confezione è quella di un lungometraggio ambientato nel mondo dei videogiochi, una specie di ibrido tra “The Lego Movie” e "Ready Player One" ma, a livello di significato, oltre al riferimento smaccato a “The Truman Show”, siamo dalle parti del sempreverde “Matrix”.

“Free Guy” segue due linee narrative che procedono inizialmente parallele. Nella prima c’è il Guy del titolo (Reynolds), che non sa di essere l’anonimo personaggio non giocante di Free City, videogioco in cui compie azioni sempre uguali e con un sorriso tanto ottuso quanto incurante della violenza che si consuma attorno. La seconda story-line, invece, appartiene al mondo reale, in cui scopriamo che Free City è proprietà di un magnate tecnologico (Taika Waititi) che l’ha creato rubando il codice a due giovani programmatori. Le due compagini entreranno in collisione quando uno dei truffati, una giovane entrata nel gioco con l’avatar Molotov Girl allo scopo di rintracciare le prove del furto, interagirà con Guy. Complice un paio di occhiali da sole speciali e il trasporto amoroso per la “donna dei sogni” appena incontrata, Guy arriverà a un risveglio di coscienza tale da influenzare sia il mondo virtuale sia quello reale.

Tra riferimenti cinematografici, linguaggio videoludico e piccola comicità, l’intrattenimento va a segno ma a colpire maggiormente è il ventaglio di riflessioni, di natura esistenziale e sociologica, a portata di mano durante il film.

Guy, fin dal nome, è l’individuo anonimo per antonomasia, il rappresentante di chi si limita a far numero, non ha voce in capitolo né consapevolezza del proprio potenziale. Il suo riscatto sarà quello di tutti i non-protagonisti, intesi non solo come i personaggi non giocanti del videogame ma anche come la maggior parte degli esseri umani.

Grazie all’autoinganno di un ottimismo disfunzionale in stile “Sindrome di Pollyanna”, il nostro ha tollerato un’esistenza cristallizzata in un loop di “giorni della marmotta” finché, ripartorito dall’incontro con il Femminile e mosso al miglioramento da una corrente ascensionale chiamata Amore, evolve. Grazie ad un apprendimento per tentativi ed errori, accumula esperienza e si trasforma nell’eroe positivo di cui c’è bisogno in un contesto che ha fatto del crimine e del caos la propria normalità.

Simbolo di chi ha scoperto di possedere il libero arbitrio e ha sviluppato la consapevolezza di poter diventare chiunque voglia (pur mantenendo l’outfit della semplicità), Guy è l’anomalia nel sistema in grado di destare le coscienze, l’occasione per tutti i suoi simili di affrancarsi dalla schiavitù e sovvertire l'ordine costituito.

Difficile addentrarsi in poche righe nell’enorme piantagione di sollecitazioni spirituali nascoste in “Free Guy”, una matrioska di diverse realtà alla cui comprensione si accede solo se si hanno gli “occhiali giusti” (come nel film). Ci sono riferimenti al riconoscimento tra anime gemelle, allusioni al fine vita e alla reincarnazione (vedi il comando di “terminazione e reboot” in possesso del demiurgo), il corpo a corpo con la versione bestiale di noi (probabile allusione alla lotta alla malattia), l’idea di un aiuto che giunga da un Altrove onnisciente e molto altro.

Il film, un gioco di specchi, indica come nei riflessi tra le varie dimensioni, filmiche e non, sia nascosto il libretto d’istruzioni per partecipare alla comprensione del Tutto.

“Free Guy” trascende la simulazione videoludica fino ad alludere a quella esistenziale, in cui l’anima incarnata compie il suo “percorso di studi”.

Certo, resta un titolo per famiglie, ricco di gustosi cammei, siparietti umoristici, azione e sfumature romantiche, nonché piagato da diversi minuti di indigeribile retorica nella seconda parte, ma è uno di quei rari casi in cui di un film valga la pena non tanto disquisire degli aspetti tecnici e artistici, quanto sottolineare il suo essere un esempio del potere illuminante del cinema.

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