Cultura e Spettacoli

Il perfetto capo-comico della «compagnia» Italia

«Quo vado?» va sempre più lontano: è il film nazionale che ha incassato più di tutti nella storia. Un successo che parte da Plauto

Il perfetto capo-comico della «compagnia» Italia

Quo vado?: è ovvio che sia la vulgata-domanda rivolta a sé, invece della drammatica interrogazione del Signore a Pietro: Quo vadis? (Dove vai?). Eppure - Dio benedetto ci voglia perdonare di dare tanto credito a Checco Zalone e al suo film, accostandolo alle parole sue sante una affinità di risultati esiste.

Pietro venne crocifisso a testa in giù, dopo aver capito dal Maestro che il suo compito era quello di tornare a Roma e accettare il martirio; Zalone, al contrario (astuti Dei!, ci tocca ricordare il saggio su L'umorismo di Luigi Pirandello con l'implicito «sentimento del contrario»), a testa in giù ci fa morire per sempre la infiocchettata comicità del cine-panettone, con la melassa dei suoi ingredienti. Pur non amando la comicità (questa comicità), ma attratto dalla Commedia, è comunque fuori discussione che come c'è stato negli anni Sessanta un boom economico, così oggi c'è stato il boom d'incassi di Zalone che ridà respiro a un cinema italiano crollato al di sotto delle suole delle scarpe. Ieri Quo vado? ha superato i 52 milioni di euro (7,3 milioni di spettatori paganti) ed è diventato il film italiano che ha incassato di più nel nostro Paese, migliorando il record precedente di Sole a catinelle dello stesso Zalone (51,9 milioni). In assoluto, nella classifica Cinetel rimane secondo solo all'hollywoodiano Avatar, con 65,6 milioni.

Rispetto a Zalone sembra che il pur bravo De Sica figlio (and company) abbia abitato un cinema dei fois stupides: quando le battute e le gag venivano fotocopiate per un pubblico eterogeneo ma annoiato. Zalone non è un genio, forse non è nessuno. La cosa non ci riguarda. Però, vedendo Quo vado? uno fa una bella listarella delle cose da dire, proprio su un film che coglie (trasversale per contenuti, si dice) le aspettative di un pubblico che non ne poteva più di robe sceme cadute come stelle cadenti a Natale. Un pubblico che ormai non lo dichiarava ma vomitava di nascosto la stessa pappa. E comunque, fatto curioso, quel pubblico (che per gli altri film italioti poteva essere variamente etichettato come piccolo-borghese), oggi pare uscito da una scorza del fu chiamato popolo. Infatti, se lo si osserva in sala, codesto popolo è fisiognomicamente identico a Checco Zalone. E se proprio non gli rassomiglia fisicamente si avverte che geneticamente ha qualcosa o molto da condividere con l'attore pugliese. Lo notai già qualche anno fa in un ristorante di Polignano a Mare - paese originario di Checco, Domenico Modugno e Pino Pascali. Il ragazzo attraversò i tavoli con le persone sedute a cenare identiche a lui. Intanto, non era un divo, né uno spiato da video o foto; secondo: andava tranquillo a cercare un tavolo e gli altri continuavano a mangiare uguali, spiccicati a lui come due gocce d'acqua.

Certo, si può obiettare che a Polignano è a casa sua. Invece la novità sta proprio qui: Checco addiziona milioni d'incassi perché in sala sembra ci siano gli stessi compaesani di Polignano a Mare. Come se Polignano fosse diventata una sala cinematografica gigantesca che riassembla il puzzle delle multisale. C'è da dire che Checco è assai paraculo insieme ai suoi sodali, con in testa Pietro Valsecchi, nel fare un film che fugge dai luoghi comuni e poi finisce «bene», però con tanto di «pugnette» all'orso e all'elefante. È paraculo a smussare il suo primitivismo. Lascia il machete e fa la barba pelo e contropelo al pubblico che fu popolo: troppo stufo dei copioni prestampati per non andarlo a vedere a branchi.Si ride quando Checco (che chiamerebbe con giustizia linguistica e letteraria i neri «negri») si ritrova preda di una tribù africana ed è costretto a raccontare la sua storia tribolata di impiegato a posto fisso; e pure quando il sordomuto gioisce per i suoi handicap che gli hanno permesso il posto fisso; e quando nel centro di raccolta di Lampedusa fa entrare solo chi palleggia bene; e quando dice «Tira più il sorriso di una donna che un rinoceronte...»; e quando appaiono in Tv, ricongiunti, Al Bano e Romina; e quando finalmente firma la rinuncia al posto fisso con: «Checco Zalone».Vedere Quo vado? sprigiona, come dicevo, una bella listarella di idee.

Intanto ci ricorda, non so perché, che la Commedia, soprattutto l'antica plautina, nacque per interrompere le Tragedie e dunque il filo rosso-sangue tra l'uomo e gli dèi. La Commedia, infatti, era sboccata, falloforica, insomma metteva in scena il corpo, la potenza e la demenzialità del corpo (è consigliato rileggere Eliogabalo di Antonin Artaud, giacché l'imperatore introdusse la commedia con il suo sfarzo sessuale e deragliante nella corte). Questo ci da il là per ripristinare una gerarchia di valori all'interno della «comicità», convinti almeno per paradosso che alcune infinitesimali tracce genetiche di quella gestualità eversiva ci conducono a Zalone (va ricordato che i baroni del sapere diedero agio di cultura Alta e egemone alla Tragedia, ma il palcoscenico universale spettava alla Commedia. Non a caso Dante se ne ricorda e scrive la Divina Commedia).Dunque, Zalone ci fa riflettere su cose che ritenevamo conclamate da decenni ma che, con la sua presenza da boom, tornano a bomba: Massimo Troisi ha tracce dell'antica commedia, mentre Roberto Benigni è un intellettuale della comicità; Paolo Panelli resta un gigante; Paolo Villaggio: un comico databile; Buster Keaton è un tragico che per le suddette ragioni pirandelliane fa ridere e sopravanza il sopravvalutato cosmico Charlie Chaplin; anche Carmelo Bene è un tragico che sviluppa il lercio plautino; Gigi Proietti distrugge l'inutile Maurizio Crozza; tra Alberto Sordi (pur a volte crasso e barbaro) e Aldo Fabrizi, in nome dei Maestri Antichi, scelgo il secondo; Ugo Tognazzi è immenso.

È il tragico che muore ridendo ne La grande abbuffata, e il vecchio pederasta travestito che da solo reggeva mille commedie plautine. Ettore Petrolini è un tragico che fa ridere e piangere: appartiene all'Empireo; Eduardo lo stesso. E non va cancellato Francesco Nuti. La comicità alla Pieraccioni gli può pulire le scarpe. OcchioPinocchio è un capolavoro.In cima alla lista delle idee va trascritto che Checco Zalone, con un filmetto dal ritmo perfetto, e che porta milioni di spettatori in sala, proprio lui con quella faccia un po' così, si offre come vettore per dire che quella scorza di pubblico che fu chiamata popolo, ha bisogno di talento in ogni campo. Ha urgenza di eversione in letteratura, arte, politica, mestieri e vita. Pensate, Checco Zalone..

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