Cultura e Spettacoli

Pugnali, fede e ideologia del Vecchio della Montagna

L'epopea, fra storia e leggenda, del famigerato capo della setta degli Assassini. Dal Medioevo alla Jihad

Pugnali, fede e ideologia del Vecchio della Montagna

Negli anni Trenta del Novecento la scrittrice e viaggiatrice inglese Freya Stark (1893-1993) si recò in Iran, che allora si chiamava ancora Persia, alla ricerca del famigerato castello della setta degli Assassini. Era un viaggio talmente all'indietro nel tempo che ragionevolmente c'era da attendersi soltanto il ritrovamento di qualche rudere o poco più, ma «al pari dei manoscritti miniati, il persiano ignora la prospettiva e duemila anni di storia - ammesso che ne sappia qualcosa - sono per lui altrettanto eccitanti dell'altro ieri; inoltre, il paese è pieno di oscuri seguaci di capi e di profeti, dei quali il resto del mondo da molto tempo non ha memoria».

Ribattezzato dagli occidentali come il Castello di Alamut, il suo vero nome, scoprì la Stark, era in realtà la Rocca di Qasir Khan sul Qasir Rud: Alamut era infatti il nome dell'intera valle dove scorreva, appunto, l'Alamut Rud. Qui, poco dopo l'anno Mille, un persiano di Rei di nome Hasan- i Sabbah, entrò in contatto con una ramificazione dell'ismailismo, a sua volta ramificazione degli sciiti, e allora dominante in Egitto grazie ai califfi Fatimidi. Per farla breve, Hasan- i Sabbah ne divenne il primo Gran Maestro e, come scrisse la Stark, «introdusse nella scienza politica di allora un'idea del tutto nuova, e di sua invenzione a quanto pare, e trattò l'assassinio come la suffragetta tratta lo sciopero della fame, cioè facendone un'arma dichiaratamente politica».

Assassini è un'europeizzazione nata al tempo delle Crociate della parola hashish, ovvero l'oppio con cui Hasan si diceva drogasse i suoi seguaci legandoli a sé per sempre e poi lanciandogli come pugnali contro i suoi nemici. Di fatto, sotto di lui, la setta si strutturò come una specie di colonia indipendente dalla Persia e tale rimase per circa due secoli, fino a quando le armate mongole di Hulagu non ridussero in macerie le varie fortezze da loro costruite. Ciò che a livello di discendenza sopravvive fu la conservazione della guida spirituale dell'ismailismo, al punto tale che nel 1866, nel corso di un processo tenutosi davanti all'Alta Corte di Bombay, venne provata la discendenza diretta dell'allora Aga Khan dal Gran Vecchio della Montagna, con il diritto quindi di incassare la decima imposta allora da quest'ultimo ai suoi seguaci, cosa che è continuata sino ai nostri giorni... Come osservò la Stark, «nessuna delle famiglie che oggi regnano o comandano possono vantare una discendenza così romantica e straordinaria».

Il Vecchio della Montagna è anche il titolo della biografia che negli stessi anni del volume della Stark, e poi ancora, rivista, negli anni Cinquanta sempre del secolo scorso Betty Bouthoul dedicò a Hasan -i Sabbah, e che ora arriva in libreria (Adelphi, pagg. 216, euro 22; trad. Svevo d'Onofrio). Moglie di Gaston Bouthoul, sociologo e polemologo, prima e dopo la Seconda guerra mondiale la coppia tenne a Parigi un salotto culturale frequentato da Picasso, Ernst Jünger, Boris Vian, Jacques Prévert... Fra i lettori più assidui di quel libro ci sarà anche una figura controversa e complessa quale William S. Burroughs, l'autore di Il pasto nudo nonché uno dei maestri della Beat Generation. Burrorughs era ossessionato dallo strapotere poliziesco di organizzazioni come la Cia e l'Fbi, quanto esaltato dall'idea di omicidi mirati in grado di far saltare quello che lui considerava l'apparato repressivo made in Usa..

Compagno di studi di Umar Khayyam, poeta, mistico e scienziato, e di Abu Ali, che con il nome di Miram al-Mulk, il Faro del regno, diverrà visir del sultano Alb Arslan, Hasan- i Sabbah fu una mente spietata e visionaria della quale tuttora resta impossibile decifrare il segreto che gli permise di disporre praticamente della vita dei suoi seguaci. «Non ho bisogno dei loro giuramenti, ho bisogno della loro fede, che siano nelle mie mani come il cadavere nelle mani del lava-morti».

La setta degli Assassini, lo abbiamo visto, sopravvisse al suo fondatore, sia pure con alterne vicende. Secondo la Bouthoul l'unico suo degno successore fu Rashid al-Din Sinan. «I crociati confusero spesso i due nomi, ma quello che accusarono di aver prestato degli Assassini a Riccardo Cuor di Leone, di aver voluto uccidere San Luigi, l'imperatore Barbarossa e Filippo d'Augusto, quello che, e tante dispute ebbe con i templari, suoi nemici fraterni, quello era Rashid al-Din Sinan».

L'accenno ai Templari è interessante. Anche qui «un ordine militare, geloso, avido e segreto», organizzato in gradi, con riti iniziatici, statuti occulti eccetera. Anche qui castelli e cittadelle fortificate come rifugi, «eguale sprezzo per la vita umana e un disprezzo ancora più grande per la parola data».

Se si vuole, e pur con tutte le dovute differenze, la stessa organizzazione autocratica è presente, osserva Betty Bouthoul, anche presso i gesuiti: «Capaci di mescolarsi al mondo senza nulla perdere dei loro princìpi, rimanendo assolutamente sottomessi al loro capo, furono loro, come è noto, a rendere popolare la formula ismailita Obbediente come il cadavere nelle mani del lava-morti, divenuta poi perinde ac cadaver».

L'assassino-suicida è una variante dei sicari, prezzolati o meno, che nel corso dei secoli si sono succeduti nella storia, nonché della teoria del tirannicidio messa in pratica. Una sua continuazione è il nichilismo russo della fine del XIX secolo, così come il terrorismo jihadista che abbiamo imparato a conoscere sul finire del secolo XX. Tutte rimandano a società segrete, devoti fanatici, epoche travagliate, promesse non verificabili, un'idea di illimitata libertà data dall'azione in quanto tale.

«Nulla è vero, tutto è permesso» furono le ultime parole sussurrate dal Vecchio della Montagna prima di morire.

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