Il film del weekend

"Thor: Love and Thunder", quando la buffoneria travolge tutto il resto

Commedia in lode dell’idiozia stravagante, con azione su note hard-rock e un nucleo emotivo atto a giustificare l’insieme. Un trionfo al box-office e una certezza: il cinema è morto, viva il cinema

“Thor: Love and Thunder”, quando la buffoneria travolge tutto il resto

Thor: Love and Thunder è sicuramente la boccata d’ossigeno di cui ha bisogno il botteghino, il che in questi tempi funesti basta a giustificare la sua esistenza e a sorvolare su quanto possa definirsi cinema un film del genere. Per dirla alla Scorsese, questo è più che altro «intrattenimento audiovisivo su scala mondiale».

Una "classica avventura di Thor", definizione più volte ripetuta nel girato, che verrà percepita come divertente o agghiacciante a seconda dello spettatore e di quanto abbia gradito o meno il capitolo precedente, “Thor: Ragnarok”, diretto sempre da Taika Waititi (quello di Jojo Rabbit). Lo stile farsesco al limite del parodistico, infatti, è il medesimo.

“Thor: Love and Thunder” fa della propria eccentricità il cavallo di battaglia, ma sposta fin troppo in alto l’asticella del ridicolo volontario. Nulla di male se il film emulasse appieno lo spirito di cult come “Zoolander” ma, nel tentativo di dare un cuore al film, qui si farcisce una tanto spedita cavalcata verso la demenzialità con momenti tonali completamente diversi, vale a dire drammatici. Il risultato è che questi ultimi, anziché regalare profondità al racconto, lo rendono vistosamente claudicante: pathos e humor si danno il cambio o coesistono ma sempre in modo sgangherato.

Dopo un incipit dedicato alla genesi del villain, “Thor: Love and Thunder” riassume in un comico e serratissimo excursus i trascorsi del Dio del Tuono (Chris Hemsworth): imprese, lotte e amori, senza tralasciare le crisi esistenziali che ne hanno trasformato il fisico. Ora, riacquistata la forma, il nostro è pronto a congedarsi dai Guardiani della Galassia con cui aveva cercato la serenità nello spazio e a tornare in azione: c’è da contrastare Gorr (Christian Bale), una figura che sta scatenando il panico nei vari mondi in quanto “macellatore degli dei”. Nel frattempo, sulla Terra, Jane Foster (Natalie Portman), unico vero amore di Thor, ha scoperto di avere un cancro al quarto stadio e tenta di salvarsi entrando in possesso di Mjolnir, il martello incantato che era andato distrutto.

Mentre il protagonista intrattiene in scene dominate da stravaganza visiva e umorismo da dodicenni, due personaggi reagiscono in maniera opposta al dolore. Il primo, Gorr, lenisce la disperazione per la perdita della figlia cercando vendetta verso chi si è mostrato indifferente alla sua sofferenza, ovvero le divinità. Il secondo, la dottoressa Foster ora trasformata in Potente Thor, combatte il male irradiando amore, rendendosi paladina quindi del sempiterno “amor vincit omnia”. Come a dire che si reagisce alle prove della vita in base al significato che siamo capace di dare loro. Ci sono poi bambini in pericolo, una riflessione sul mito e sul rapporto tra uomo e religione, nonché la disamina del senso di vuoto di chi non abbia qualcuno da amare. C’è anche l'idea che la paternità possa essere salvezza o dannazione. Peccato che l’autorevolezza di tali contenuti non emerga mai davvero dal mare di gag infantili.

Un conto è gustare i camei di Sam Neill e Matt Damon o lasciarsi rapire da un irresistibile Russel Crowe nei panni di Zeus (il momento migliore del film), un altro trasalire di fronte alla presentazione di Bao, il dio dei ravioli, o continuare a sorridere all’ennesimo siparietto sulla gelosia della nuova arma di Thor per la sua ex, il martello.

Attraverso le avventure di un dio guascone che assume pose da rockstar mentre compie imprese dai non trascurabili danni collaterali, Taikiki non vuole semplicemente normalizzare il concetto di divinità ma dissacrarlo riducendolo a macchietta. Chiamiamola pure poetica della spensieratezza sguaiata, la verità è che il regista ha vinto la scommessa che in un film si possa inserire a caso qualsiasi cosa, anche due capre giganti urlanti che trainino un Dio come fossero le renne con Babbo Natale.

Le note stonate emergono laddove la forzatura è esasperata: basti pensare all’insistenza con cui si mostrano coppie non tradizionali. Anziché rendere omaggio al politicamente corretto alla lunga si ottiene l’effetto opposto di renderlo indigeribile come non mai.

Di fronte al tema della malattia e della perdita lo spettatore viene sicuramente agganciato, ma “Thor: Love and Thunder” resta più estroso che sorprendente e la gestione di troppi elementi compromette la messa a fuoco della sostanza.

Una fortuna che il regista sia ossessionato dai Guns N Roses così da coinvolgere i più adulti con la colonna sonora (splendido l’uso dell'assolo di Slash del pezzo “November Rain”), ma una sciagura che lo stesso diffonda l’assunto adolescenziale che l’amore sia “stare di merda per qualcuno” (imprinting pericoloso per i bambini che vedranno il film).

Insomma, se non siete fan integralisti dell’universo Marvel, capirete che l’insieme funziona a patto che si abbiano basse aspettative e ci si accontenti di una baracconata comica dalle emozioni semplici.

Commenti