Al contadino non far sapere quant'è buono il foraggio con il potere (e non soltanto il foraggio: tutto ciò che si può coltivare, allevare, cacciare, pescare...). Infatti il contadino, che spesso è anche allevatore, cacciatore e pescatore, lo conosce benissimo il peso del potere, fosse anche un minimo di autodeterminazione nelle cose spicciole, una sorta di grado zero del potere. Lo conosce oggi come lo conosceva ieri. Per esempio nel Medioevo europeo, sia quello Alto d'epoca carolingia, sia quello Basso che giustamente si offenderebbe se lo collocassimo nell'abusata categoria dei «secoli bui» e che, al contrario, lasciava già intravedere i primi bagliori del Rinascimento. Il contadino lo conosce e lo conosceva, il buon sapore del potere, condimento di ogni piatto e quindi della vita intera.
Contadini e potere nel Medioevo, di Luigi Provero (Carocci, pagg. 187, euro 18) è un saggio per chi dei «secoli bui» non vuol sentir parlare perché sa che, anche prima della cosiddetta «rivoluzione documentaria», cioè (citiamo da Provero, docente di Storia medievale all'Università di Torino) della «crescita sia della produzione sia della conservazione di documenti», scavando sotto la cenere si trova sempre un po' di brace con cui far luce sul passato. E in questo libro troviamo un bel tizzone ardente, sintetizzabile così: avendo quotidianamente a che fare con molti detentori di potere, dall'imperatore ai re, dai principi ai signori, dalle oligarchie delle città (quando cominciarono a essere tali, con lo sviluppo urbanistico e la crescita demografica successiva alla Peste Nera della metà del XIV secolo) ai vari livelli delle gerarchie ecclesiastiche, i contadini medievali, scarpe grosse (chi se le poteva permettere) e cervello fino, spesso riuscivano a trarre vantaggi proprio dai conflitti fra loro.
Ma chi sono i «contadini» dei quali parla l'autore? Sono «la società rurale non nobile», gli «homines de», dove al «de» segue il nome del loro villaggio. E attorno alle case del villaggio ci sono, in cerchi più o meno regolari e concentrici, gli orti, i campi coltivati e quelli incolti, il bosco. Per non parlare della parrocchia con annesso cimitero, e del castello del signore locale... Insomma, il villaggio contadino medievale e le aree limitrofe si configurano quasi già come un autentico paese. Un paese, soprattutto, non popolato di uguali di fronte ai potenti. Pensiamo ad esempio, in epoca tarda, ai «consoli rurali», o addirittura al «notariato rurale». E pensiamo in primo luogo alle figlie primogenite di qualsiasi Stato: le tasse. Nel Medioevo non esisteva l'Agenzia delle Entrate, ma esistevano gli agenti preposti alla riscossione, un incarico, oltre che di prestigio, anche, appunto, di potere.
E se dall'ambito economico si passa a quello giuridico, al fare i conti con la legge, vediamo moltiplicarsi le opportunità, per i contadini desiderosi di salire qualche gradino della scala sociale. Si tratta di stabilire le franchigie e le corvées, di fissare accordi e di comporre liti. «Si tratta - scrive Provero - di parlare con il signore per definire le forme del suo potere, ma per conto di chi parlano, chi stanno servendo? La comunità o lo stesso signore?».
Ecco che gastaldi, camparii, mugnai e i capi delle varie fazioni del villaggio, pur essendo ancora contadini, sono diventati «imprenditori politici», rappresentanti di un mondo che in alcuni casi comincia a denotare una «struttura repubblicana e apparentemente democratica», parole grosse, ma a futura memoria.Poi, lo sappiamo, i politici persero l'abitudine a zappare la terra, anche se in molti ancora oggi vorrebbero che tornassero a farlo. Ma questa è un'altra storia.
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