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"Dieci anni senza Sic. Ma il mio Marco non è mai andato via"

Sabato 23 ottobre 2011 il dramma a Sepang. Il papà: "L'amore per lui è un fenomeno mondiale"

"Dieci anni senza Sic. Ma il mio Marco non è mai andato via"

Ironia della sorte o destini incrociati. Questo fine settimana, il circuito di Misano dedicato a Marco Simoncelli saluterà per l'ultima volta in Italia da pilota motoGp Valentino Rossi, simbolo di un'era del motociclismo mondiale e pilota di casa, proprio come il Sic, l'amico carissimo del Doctor ed erede predestinato del campionissimo quando ancora non c'erano il Ranch e l'Academy VR46. Per l'occasione il poster del Gp dell'Emilia Romagna in programma domenica prossima è un tributo al 9 volte campione del mondo: l'unico soggetto è il Doc mentre fa un saluto intimo al suo popolo giallo e al motociclismo mondiale, che tanto dà, quanto toglie.

Sabato 23 ottobre, invece, mentre i piloti scenderanno in pista per le qualifiche, il pensiero andrà inevitabilmente al Sic, a quel ragazzo dolce e riccioluto che ha incantato il mondo e che dieci anni fa ha perso la vita sulla torrida lingua d'asfalto di Sepang in un incidente che ha tristemente coinvolto proprio Valentino Rossi e Colin Edwards. Dieci anni senza Marco, eppure sembra ieri perché la gente di tutto il mondo ha adottato il Sic e dopo il 46, il 58 è il numero più caro nel cuore degli appassionati di tutto il mondo. Di questo affetto e di quanto manca Marco, abbiamo parlato con il papà, Paolo Simoncelli, che dopo la tragedia si è rimesso in gioco ed è impegnato nel Mondiale con un team di Moto3.

A Misano senza Marco. Sono passati dieci anni, sembra ieri o un'eternità?

«Non mi sembra che siano passati dieci anni. Sembra incredibile: il tempo passa ma Marco resta nel cuore di tutti e non se ne andrà mai».

Ci sarà anche un film per ricordare questo ragazzo speciale.

«Sì, per l'occasione faremo tante belle cose, a partire da Sic, il documentario che racconta la vita e la carriera di Marco con un ricordo molto intimo e personale. Ci saranno anche altre iniziative. Tutte cose speciali. C'è solo un problema: Marco non c'è».

Eppure Marco continua a vivere.

«L'affetto verso Marco è incredibile. Ancora non capisco questo fenomeno mondiale. Non ho mai smesso di ricevere lettere, messaggi, mail, testimonianze d'affetto. Abbracci. Da ogni angolo del globo. Ogni giorno, e ogni giorno di più. Marco è più popolare adesso di quando combatteva contro Valentino Rossi, Jorge Lorenzo, Dani Pedrosa o Andrea Dovizioso. Le persone mi fermano per strada, in circuito, mostrando orgogliosi i tatuaggi che si sono fatti. Sono un tributo a mio figlio, a questo ragazzo speciale: sono disegni in cui campeggiano il 58, i suoi riccioli folti, il suo sorriso. Non solo, in era pre-Covid al suo museo avevamo anche 35.000 visitatori all'anno. Le persone continuano a suonare alla nostra porta. Molti portano olio e vino, altri vogliono vedere dove abitava Marco. Questo calore ci ha aiutato».

Ma cosa rendeva il Sic così speciale?

«Marco era una persona semplice, autentica, genuina, sincera. Era in grado di toccare i cuori della gente, senza distinzione di nazionalità o età, semplicemente perché era vero».

Nel nome del Sic è nata la Fondazione, ma anche la casa per disabili inaugurata a Coriano due anni fa.

«C'era il desiderio di restituire tutto questo amore. In passato abbiamo aiutato tante associazioni, messo su un ospedale ad Haiti. Però era importante fare qualcosa di concreto anche qui, vicino a casa».

E poi la Squadra Corse Sic 58 nel Mondiale.

«Il nostro team è nato per necessità, per un bisogno del cuore. È stato un modo per sopravvivere, per ricominciare a vivere di nuovo. Per rimettere in pista quella passione, quei sogni, quell'allegria che hanno portato Marco a diventare Campione del Mondo».

Quanto ha aiutato essere il papà di Marco?

«Molto perché tutti hanno tanto rispetto per questo ragazzo. Abbiamo iniziato al Mugello nel 2013 nel campionato italiano CIV con due pilotini e due moto e oggi schieriamo sette piloti: quattro nel campionato spagnolo CEV e tre nel Motomondiale con Tatsuki Suzuki e Lorenzo Fellon in Moto3, e Mattia Casadei nella MotoE».

I risultati dicono che state lavorando bene.

«Mi piace molto la Moto3 perché questi ragazzi sono meravigliosi. Mi piace insegnare a quelli che vogliono ascoltare. Il mio vantaggio è essere stato babbo. Da uno sguardo, un movimento, una mezza parola di questi ragazzi, capisco già di cosa hanno bisogno. Mi stanno regalando delle grandi soddisfazioni».

Il team è una seconda famiglia.

«Mi piace trasmettere cosa sia il motociclismo, insegnare a prendere il nostro sport con impegno. Ai miei ragazzi insegno il valore della genuina sportività, della solidale stretta di mano, dell'abbraccio come perdono dopo una caduta. Amiamo questo sport e guardiamo avanti.

Nel nome di Marco».

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