
Il risultato è netto, eppure la differenza in campo fra il PSG, che vince finalmente la prima Champions League della sua storia, e l'Inter, che perde la seconda finale in 3 stagioni, è persino più ampia di quanto non dica il 5-0 finale. Mai nessuno aveva perso con uno scarto così ampio e potevano essere 7 o 8 o anche di più. Da non credere, ma tutto vero. Non un castigo, ma un verdetto sacrosanto: l'Inter chiude a mani vuote la stagione delle mille emozioni. L'ultima è scioccante e chissà quanti danni farà.
Parigi la vince col talento e con la tattica, molto prima che con la forza della sua gioventù. All'Inter l'esperienza di Istanbul non è servita a nulla. Inzaghi perde come peggio non poteva, battuto dal calcio perfetto di Luis Enrique, che gioca senza un vero centravanti, ma con mezza squadra capace di infilarsi nel buco che il finto 9 Dembélé apre andando un po' a destra e in po' a sinistra, immarcabile per tutti.
Un gioco con un'aggressione altissima e continua, ma con una copertura attenta e puntuale, altro che lo scialo del Barcellona. Un calcio pensato per una squadra diventata più bella e più forte dopo avere perso il suo giocatore migliore o forse proprio per questo, perché quando hai Mbappé ti preoccupi solo di fargli fare gol e invece quando non ce l'hai più devi inventarti un altro calcio. Ecco, Luis Enrique, quello che a Roma prendevamo in giro, ce l'ha fatta un'altra volta.
Sarà una squadra senza stelle, perché s'è chiusa l'era dei giganti, ma non è certo una squadra senza campioni. Detto che Dembélè forse è l'unico che può contendere a Lamine il Pallone d'Oro, in quale altro modo definire Doué e Nuno Mendes o Vitinha e Joao Neves? Di Hakimi sapevamo tutto già da anni e i 4 mesi parigini di Kvara sono bastati a lucidarne la gloria che a Napoli pareva sbiadita. Una squadra giovane e stavolta perfetta contro cui l'Inter non ha nemmeno la forza di opporre il proprio cuore perché Luis Enrique non gliene dà il tempo.
Si capisce fin dal calcio d'inizio, sbattuto direttamente in fallo laterale, solo per il gusto di dare la palla all'Inter e poi aggredirla subito alla gola. Dieci minuti iniziali di calcio studiato a tavolino, come nemmeno alla playstation. Dieci minuti che servono al PSG per sabotare le distanze nerazzurre e sono prodromici di quello che sarà un dominio assoluto, totale. Il primo tiro arriva giusto al 10', parato; il secondo all'11', di nuovo parato; il terzo al 12', ed è gol, quasi per conseguenza naturale. Lo firma Hakimi, ex a esultanza trattenuta, libero nel cuore dell'area, dopo una giocata a mille all'ora fra Kvara, Vitihna e Doué, tutto da paura. Si fa presto a dire, gli errori dei difensori. Valli tu a prendere, quando gli altri giocano così. Applausi, tanti.
Il resto è una conseguenza quasi logica. Il raddoppio è di Doué, favorito da Barella prima e Dimarco poi. Inzaghi prova a cambiare qualcosa e subito si rompe Bisseck. Non è serata. Ancora Doué, poi Kvara, infine Mayulu, perché Inzaghi non rinuncia a giocare e finisce per straperdere. Donnarumma alza la coppa, senza nemmeno una parata, un altro segno della disfatta nerazzurra. Erano 63 anni che una squadra non segnava 5 gol in finale (il Benfica, 5-3 al Real).
La Germania resta terra amara per le squadre italiane in Champions, 4 finali e 4 sconfitte. Per la Francia è la seconda coppa della storia, dopo quella del Marsiglia nel '93, vinta contro il Milan, proprio a Monaco. Non era proprio cosa, c'era da saperlo.