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Djoker, la faccia giusta. Batte i suoi demoni per essere il più grande

L'anno scorso a Melbourne escluso perché no-vax. "Se mentalmente presente, posso vincere tutto"

Djoker, la faccia giusta. Batte i suoi demoni per essere il più grande

«Considerando le ultime 4-5 settimane, questo è il più grande successo della mia vita». Il decimo in Australia, il ventiduesimo Slam per tornare numero uno del mondo, cifre che riaccenderanno il dibattito sul fatto che Novak Djokovic sia il più grande della Storia del tennis. Ma quale Djokovic?

Lo aveva detto lui stesso già qualche mese fa che di Novak esistono due facce, lo ha ribadito al suo team dopo aver battuto Stefanos Tsitsipas in tre set (6-3, 7-6, 7-6) lottando il giusto quando è servito: «Io non so se riuscirete a perdonarmi per quello che vi faccio passare, per il mio carattere. Ma sappiate che questo successo è anche vostro, soprattutto vostro». In quell'angolo, che lo abbraccia unito dopo il trionfo, c'erano madre, fratello, coach Goran Ivanisevic, il manager Artaldi con la moglie, il fisio. Non c'era papà Srdjan, rimasto ancora una volta nella stanza del suo hotel. E chissà che dopo averlo difeso davanti a tutti, la chiave della porta non l'abbia girata proprio lui.

Perché questo è il punto: se parliamo di tennis non c'è storia, ci credeva forse solo Tsitsipas sperando che il piccolo calo di Nole del secondo set, che è stato più di testa che di fiato, potesse essere qualcosa di più. Ma in realtà non c'è stata mai vera partita, non poteva esserlo, soprattutto considerata la sete di vendetta che ha animato il serbo dopo la vicenda di un anno fa a Melbourne. Non c'è mai nulla di diverso quando Djokovic decide di vincere, si può solo sperare che crolli davanti ai suoi demoni, davanti all'altro sé che è dentro di lui. Quello che invece la gente non ama.

Così ecco perché questa volta è diverso, ecco il fiume di lacrime liberatorie - dopo la vittoria. Quasi come gli era successo giorni fa durante un'intervista in cui, commosso, aveva parlato della sua figlioletta Tara: «Mi manca, quando mi guarda con i suoi occhi così belli, io sono disarmato». È il Djokovic filosofo, quello che con il trofeo in mano si lascia andare ad un discorso che racchiude in uno Serbia e Grecia, il Paese del suo avversario: «Stefanos ed io arriviamo da due piccole nazioni, e quello che è successo qui oggi dimostra che più grandi sono le difficoltà che hai da bambino, più grandi sono i risultati che puoi ottenere. Non fatevi rubare i vostri sogni, annaffiateli come fate con una pianta, continuate a sognare in grande e fatevi accompagnare con qualcuno che sogna come voi».

Poi, di nuovo, c'è l'altro Novak. Quello che in due settimane ha litigato con i suoi muscoli, con gli arbitri, col pubblico, con i giornalisti e con il suo coach, come se ogni colpo sbagliato fosse sempre colpa di un complotto planetario: «È difficile spiegare alle persone che non si sono trovate in queste situazioni cosa tu stia provando». È sempre, in fondo, un eterno Uno contro tutti, quello che piace solo ai suo fan più fedeli. Con Dio al suo fianco, la Patria da onorare e la famiglia come scudo. Ed il suo Io, soprattutto, sempre e comunque.

Come finirà? Secondo John McEnroe, e non solo secondo lui, Djokovic allargherà la sua collezione di Slam: «In fondo Federer, dopo i 35 anni, ne ha vinti tre». E magari farà anche quel Grande Slam che nel 2021 gli è scappato per ingordigia e un po' di superbia (andò alle Olimpiadi di Tokio, nonostante il parere contrario del suo allenatore). La storia insomma non finisce qui: «Due settimane e mezzo fa non ero affatto convinto delle mie chance di vincere questo torneo, soprattutto per via della gamba. Era un gioco di sopravvivenza ogni match, ma il riposo tra una partita e l'altra mi ha aiutato. Ovviamente pensando allo scorso anno ero un po' nervoso: non sapevo come sarei stato accolto qui, ma alla fine è stata un'esperienza molto positiva. E ho abbracciato mio padre: era un po' triste per essersi perso un'occasione unica. Ma ho vinto e lui era qui per me, questo è quanto ci siamo detti». Il Più Grande, dunque? «Non amo compararmi agli altri, ma è un privilegio far parte della discussione sui più grandi tennisti di ogni tempo. Non voglio fermarmi qui: mi sento benissimo e so che quando sto bene fisicamente e sono mentalmente presente, posso vincere qualsiasi Slam. Contro chiunque». Che poi è l'unico Djokovic che conta.

Almeno per lui.

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