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F1, Un digiuno di 70 anni

Il 13 settembre 1953 si concluse l'ultimo mondiale con un italiano campione: Ascari

F1, Un digiuno di 70 anni

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Da 70 anni non abbiamo un campione del mondo in Formula 1. E nessuno se ne accorge per colpa della Ferrari. Che potrà anche non vincere il titolo piloti dal 2007 l'ultima volta ci riuscì con il finlandese Kimi Raikkonen -, ma di sicuro il digiuno non è paragonabile a quello dell'italiano al volante. Era il 13 settembre 1953, giorno in cui Alberto Ascari, dopo aver vinto aritmeticamente la classifica il 23 agosto nel penultimo Gran Premio, poté festeggiare a Monza il secondo dei suoi due titoli mondiali di fila. A quei tempi, nessuno avrebbe immaginato che quello sarebbe stato l'ultimo per i piloti tricolori.

Milanese e figlio d'arte, papà Antonio fu uno dei più grandi piloti italiani del primo Dopoguerra, Alberto Ascari era superstizioso, morì a Monza in un misterioso incidente esattamente trent'anni dopo il padre. Alla stessa età: 37 anni. Era il 1955. Ammirato, Enzo Ferrari diceva di lui: «Ascari quando partiva in testa, era irraggiungibile».

Come irraggiungibile sembra quel titolo che a un pilota italiano manca da troppo tempo. Lo inseguiamo da molte vite ormai, in Formula uno. Ma la verità è che più passa il tempo, più sembra impossibile raggiungerlo. Ora, da tempo, non ci sono neanche piloti italiani in griglia... Certo, il tifo per la Rossa, nei decenni, ha «educato» i tifosi a pensare e a far finta che certi grandi piloti transitati al volante del Cavallino, pensiamo a Niki Lauda, Gilles Villeneuve, Jody Scheckter, sua maestà Michael Schumacher, Fernando Alonso e ora, perché no, Charles Leclerc e Carlos Sainz, fossero se non italiani qualcosa di assimilabile all'italiano. Illusione, gioco di prestigio, mica vero, erano forti, erano e sono grandi talenti, ma stranieri. Punto. Così, fra i grandi sport, la Formula 1 è forse l'unico dove un italiano al vertice manca da così tanto tempo. Neanche il tennis maschile si avvicina, anche se attende un successo negli Slam e in Coppa Davis dal 1976 (le donne con Francesca Schiavone hanno conquistato il Roland Garros nel 2010 e con Flavia Pennetta lo UsOpen 2015). La pallavolo ha vinto di recente titoli iridati ed europei, ma deve ancora colmare il vuoto alla casella ori olimpici, l'atletica azzurra, invece, è salita sul tetto del mondo in diverse specialità e con l'oro olimpico di Tokyo 2020 nella gara principe, i 100 metri di Marcell Jacobs, ha colmato una mancanza che durava da sempre. Il nuoto, invece, da tempo naviga nell'oro e nello sci, a fasi alterne, siamo sempre tornati al vertice. Le gioie e i dolori del calcio sono ben note, però nei decenni non sono mancate soddisfazioni mondiali ed europee anche dopo lunghe astinenze ma mai così lunghe come in F1. E proseguendo, a proposito di Ferrari, c'è Vanessa che con l'argento nel corpo libero della ginnastica artistica ha conquistato all'Olimpiade di Tokyo la prima medaglia individuale femminile dopo quella a squadre di Amsterdam 1928.

Nei pesi massimi di pugilato, grande e nobile sport, sembrava impensabile che qualcuno potesse emulare Primo Carnera, nomen omen, ma poi nel 1989 Francesco Damiani fu in grado di riportare dopo più di cinquant'anni il titolo in Italia in questa categoria di peso. Così, in attesa che il digiuno dei piloti italiani in Formula uno termini, auguriamoci se non altro che cessi quello della Ferrari. Anche stranieri, purché il Cavallino torni a lottare per il titolo mondiale.

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