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Jacobs, ritorno über alles. A Berlino per stupire

Prima gara del campione olimpico dopo Tokyo: 60 m per dimostrare che il successo non l'ha cambiato

Jacobs, ritorno über alles. A Berlino per stupire

Alla porta berlinese di Brandeburgo dove nel giorno dei giorni, era il 1989 caduta di un muro, Velasco e i suoi immortali della pallavolo liberarono menti appesantite dal pregiudizio, Marcell Jacobs, il nostro grande velocista dorato, cerca di riaprire la porta dei sogni dopo sei mesi di baldoria, belle cose, incontri anche non luminosi, confessioni, ma per fortuna anche di allenamenti seri in mezzo al frivolo di chi lo ha messo su tutte le copertine.

Il sollievo di ritrovarlo su una pista, nelle indoor che lo hanno presentato al mondo come campione d'Europa, prima che gli invidiosi andassero a tartufare nell'immondizia per la sua strepitosa olimpiade giapponese con doppio oro.

Ci faceva paura quel mondo intorno a lui, eravamo preoccupati anche se il suo allenatore Camossi, un saggio fantasioso, la beata Nicoletta Romanazzi, allenatrice della mente che gli aveva insegnato il pensiero positivo determinante per aiutarlo nelle finali di Tokyo, garantivano che sarebbe tornato più bello e più forte, anche se con un tatuaggio in più dolorosamente affrontato nel buen retiro di Tenerife.

Oggi, si spera nella diretta Rai sport dalle 17, lo vedremo dove deve sempre stare: in battaglia. Ricomincia dopo sei mesi che avrebbero confuso anche un mistico, lui non lo è come ci dicono le cronache, la madre del suo primo figlio, il Fedez da cui vorrebbe divorziare, le copertine patinate sul suo splendore muscolare.

Correrà i 60 metri per capire se il lavoro alle Canarie è stato fatto davvero bene dopo che l'estrazione di un dente del giudizio gli ha dato nuove armonie. Lo aspettano tutti al varco. Da questa corsa ai mondiali di Eugene. L'uomo da battere che non nasconde di essere in caccia del favoloso record di Bolt, 958 sui 100 metri, perché, come ha detto lui «se lo ha fatto un uomo ci può riuscire anche un altro». Chi lo ama davvero, Camossi prevede un 963, lo incita, ma non lo illude. Lui, però, ci ha abituato a credere nei suoi sogni.

Batterie alle 18 e 15, finale alle 19.35. Per le erinni alla porta di Brandeburgo la prova contro tutto e tutti, chi, come i battuti invidiosi, cominciando da inglesi e americani, per non parlare dei francesi, continua a dire che Tokyo è stato soltanto un momento magico. Dipende da lui che alle Canarie, e poi al Rosi di Roma, fra tanti amici, bambini adoranti, ha cercato di ritrovare il suo vero centro di gravità permanente.

Non chiediamo primati all'esordio, ci mancherebbe, ma sentire il suo tam tam della gloria a Berlino renderà più bella l'attesa per gli appuntamenti che contano: se è quello che Camossi ha rimesso in moto allora perché non aspettarci che vinca tutto. Lo vogliamo vero oggi e poi tutte le volte che andrà in pista, anche quando cercherà nuovi orizzonti nei 200 che dovrebbero essere il canto logico alla gioia per il suo rivale italiano Tortu.

Jacobs che ha passato tutte le porte difficili della vita, cominciando dal riavvicinamento, dopo Tokyo, col padre marines che lo aveva abbandonato, accompagnato da chi gli vuole davvero bene, come noi, come sua madre, la regina che lo ha liberato da tante schiavitù mentali come la Romanazzi, adesso deve pensare soltanto a quello che farà in pista, accettando anche i viaggi oltre la crudeltà dell'atletica, nella speranza che possa ancora abbracciarsi al suo compagnone Tamberi, amico geniale con cui ha in mente un tre contro nel basket, coinvolgendo pure Dal Molin, contro cestisti veri per fare beneficenza.

Oggi lo vogliamo vero, tonico, bel partente, feroce sul traguardo. Il resto ce lo godremo aspettando i mondiali nell'Oregon.

Senza esagerare nelle richieste, ma è lui il primo a sapere che partire bene vuol dire arrivare con la fame giusta quando il mondo degli scettici cercherà nei suoi occhi quello a cui non ha voluto credere dopo l'Olimpiade delle magie dell'atletica italiana che aggrappandosi al suo mantello vorrebbe far sapere che questo mondo, così ben diretto dal maestro La Torre, ha la stessa grinta del 2021 delle rivelazioni impreviste.

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