L'Italia ovale è di fronte all'ennesimo bivio: diventare adulta o vivere all'infinito di lampi improvvisi che poi si spengono nel solito anonimato. La vittoria di sabato sulla Scozia, arrivata dopo una rimonta sorprendente, potrebbe essere finalmente il momento della ripartenza. Ma per capire come stanno le cose all'interno di casa Italia, meglio affidarsi a uno dei costruttori di questo cambiamento di rotta come Daniele Pacini, 54enne direttore tecnico delle squadre nazionali, ex mediano di mischia del Cus Roma.
Il successo sulla Scozia potrebbe essere l'ennesimo punto di ripartenza del nostro rugby. Ve lo aspettavate o è stato una sorpresa anche per voi?
«Diciamo che abbiamo monitorato la crescita continua di questi giocatori fin da prima dell'ultimo Mondiale. Sapevamo che questa nazionale aveva le qualità per essere competitiva, anche se poi da lì a vincere il passaggio non è automatico. Adesso finalmente arriviamo da due risultati molto buoni, perché anche il pareggio di Parigi non è diventato una vittoria solo per quel palo. E ora l'Italia può mettere queste prestazioni nel suo dna, anche perché abbiamo una squadra dall'età media molto bassa».
Da cosa avete capito il cambiamento?
«Dal fatto che la squadra ha acquisito una sua maturità. Quella che abbiamo visto non solo contro la Scozia, ma anche in Inghilterra o contro la Francia, che al Mondiale ci aveva messo in grandissima difficoltà».
Ma come si giustifica un cambio di prestazioni così netto a cinque mesi da un mondiale francamente disastroso?
«Bisogna premettere che nel rugby il Mondiale fa storia a sé. E' un evento che ogni nazionale affronta dopo una preparazione molto lunga. Cosa che non avviene ovviamente per il Sei Nazioni che deve ritagliarsi lo spazio in mezzo all'attività di leghe fortissime come quella francese. Per cui onestamente non possiamo confrontare le squadre che affrontiamo nel torneo con quelle che lavorano assieme da giugno a settembre. Dopo ogni Mondiale, le nazionali aprono un nuovo ciclo, quindi vanno misurate anche sotto questo parametro. Diciamo che noi siamo stati bravi ad anticipare l'apertura del nostro».
Quanto ha inciso il cambio di ct?
«Gonzalo Quesada ha avuto il coraggio di affrontare una scommessa, sapendo di avere pochissimo tempo per lavorare con la squadra prima del Sei Nazioni. Ma ha ricevuto anche un'Italia già trasformata mentalmente dal suo predecessore, Crowley, con l'arroganza di voler sfidare quelli più grossi e più bravi di noi».
Il successo di Quesada conferma la vecchia teoria che per l'Italia funzionano meglio i ct latini come Berbizier, Brunel, tornando indietro fino a Coste e Fourcade...
«Certo, è stata una delle cose su cui abbiamo ragionato con il presidente Innocenti al momento della scelta. Ma poi devi fare i conti anche con le disponibilità del mercato in quel momento. Comunque Gonzalo ha dimostrato subito di avere grandi capacità motivazionali, oltre che tecniche e strategiche».
Molti hanno fatto passare la vittoria sulla Scozia come un' impresa storica. Ma è proprio così?
«No, abbiamo solo vinto una partita. L'impresa sarebbe vincere il Sei Nazioni. I ragazzi lo sanno e hanno i piedi per terra. Adesso il focus è vincere in Galles».
Dove per la prima volta giocheremo addirittura da favoriti.
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