
Marco Rossi, torinese, 60 anni e già 76 partite da ct dell'Ungheria. In carica dal 2018 e in tasca oltre alla doppia cittadinanza anche un contratto appena rinnovato fino al 2030. Insomma, uno che il ruolo lo conosce.
Quale consiglio bisogna dare a Gattuso o a chi prenderà il posto di Spalletti?
«Di condividere l'esperienza con chi è stato suo ct, come Lippi, o con Mancini. Perché non è un luogo comune ma una sacrosanta verità: allenare e selezionare sono due lavori differenti».
Pensa che sia stato questo a tradire Spalletti?
«Da fuori, non posso esprimere giudizi approfonditi. Di certo prima di queste due ultime partite ha avuto molte difficoltà per le convocazioni, fra chi ha rifiutato e chi poi si è fatto male, in più c'era in squadra una profonda base di stanchezza. Resta che ho visto in campo, giocatori che io non conoscevo».
Qual è il primo errore di un allenatore quando fa il ct?
«Pensare che i giocatori siano suoi, invece noi li abbiamo solo in prestito dai club e perciò dobbiamo rispettare il loro modo di allenarsi, recuperi compresi. Normalmente, prima di una partita abbiamo solo 2 allenamenti, in cui io faccio solo video e tattica, in funzione dei rivali. Non c'è tempo per fare altro, tanto meno un lavoro fisico».
E la prima cosa che invece deve fare un selezionatore?
«Creare una base, che nelle grandi Nazionali è anche di 40/50 calciatori e poi chiamare ogni volta chi sta meglio. Perché se uno è fuori forma, e durante l'anno capita, non basta la convocazione per restituirgli la condizione, meglio fare giocare subito un altro».
Cosa fa un ct quando non ci sono le sue partite?
«Io giro, guardo quelle dei miei calciatori e organizzo video call con loro. È un lavoro mentale, ci credo. È utile e sta dando buoni risultati».
Conta più avere il giusto ct o i calciatori più bravi?
«I calciatori fanno sempre la differenza. Guardiamo il Portogallo, il ct di oggi Roberto Martinez, ha appena vinto la Nations League con una squadra straordinaria. I 3 del PSG sono eccezionali, Nuno Mendes un fenomeno assoluto nel suo ruolo. Il ct di ieri, Fernando Santos, ha vinto una Nations e un Europeo. Vogliamo dire che non sia uno bravo? Eppure, ora che guida l'Azerbaigian in 10 partite ha perso 8 volte, con 2 pareggi».
Anche per l'Italia la crisi di risultati è crisi di talento?
«L'Italia con tutti i suoi migliori calciatori al top, se la gioca contro chiunque, anche con Spagna e Portogallo. Non vedo una carenza di qualità. Forse in Norvegia qualcuno non era concentrato sull'importanza della partita. E in ogni caso, per il Mondiale 2026 non è ancora finita per gli azzurri».
Perché in questa settimana nessuno l'ha chiamata?
«Non ho un profilo adatto, non ho un nome altisonante per la panchina dell'Italia».
Ragioniamo per ipotesi, anche assurde: si sarebbe sentito pronto o avrebbe avuto paura?
«Avrei prima dovuto chiedere il via libera dal mio presidente federale, che magari non mi avrebbe permesso di accettare. Ma la panchina dell'Italia non si può rifiutare».
In realtà c'è chi l'ha fatto.
«Questione di nome, forse qualcuno ha avuto paura di giocarsi la reputazione. Io questo problema non l'avrei avuto».
A settembre anche l'Ungheria comincia le qualificazioni per il Mondiale. Girone tosto, il vostro, con Portogallo, Irlanda e Armenia. Primo posto già assegnato?
«Mi sembra che arrivare davanti al Portogallo sia impossibile per tutti. Speriamo di giocarci con l'Irlanda un posto nei playoff, lì può accadere di tutto».
Chissà, magari di incrociare anche l'Italia.