Eggià, chi l'avrebbe detto. Nell'epoca della musica liquida, delle canzoni usa e getta, delle piattaforme di streaming che hanno persino annientato il traumatico mp3 (il peggiore suono di sempre), c'è il Rinascimento del vinile. Sì, proprio quella cosa di lacca nera che scricchiola sotto la puntina del giradischi, il simbolo di un'epoca irripetibile per chiunque ami il rock.
E non è soltanto una questione di nostalgia, perché in questo caso cantano anche le cifre: oggi il vinile, specialmente quello in 33 giri, copre il 6 per cento del mercato italiano, garantendo una quantità di ricavi in crescita continua (ora siamo a più 52 per cento rispetto al 2016). Nel 1970, il vinile rappresentava almeno l'80 per cento del mercato globale della musica, nel 2000 lo zero virgola. Poi la rinascita, lenta ma inarrestabile. Nel 2007 i dischi in vinile avevano un giro d'affari da 55 milioni di dollari nel mondo, nel 2010 erano già 89 milioni, nel 2012 sono arrivati a 171 e via così, sempre ovviamente in crescendo. Un fenomeno impensabile nel 2007 quando a Chris Brown, commesso di un negozio della catena indipendente americana Bull Moose, si inventò il Record Store Day, che da allora si celebra il terzo sabato di aprile (stavolta il 21). Per l'occasione, nei (sempre meno) negozi di dischi arriva un'invasione di pubblicazioni pensate apposta, dai 45 giri in edizione limitata alle ristampe, ai 33 giri storici arricchiti da ogni bendidio musicale.
Negli anni Settanta e Ottanta sarebbe stato un trionfo per centinaia di milioni di appassionati, collezionisti o semplici tifosi di questo o quel gruppo, tutti disposti a spendere cifre folli per accaparrarsi l'edizione giapponese o la ristampa con inediti di questo o quel super classico. Invece, a metà degli anni Duemila, le prime edizioni del Record Store Day sembravano più che altro un monumento alla nostalgia canaglia, con poche esclusive e offerte generalmente trascurabili. Era, secondo i soliti benpensanti disfattisti, una versione globale dei mercatini di usato e rarità che qui e là radunano appassionati in tutto l'Occidente. Ma poi. La progressiva «gelificazione» dei suoni, sempre più tecnologici e sempre meno personali, e una scena musicale sempre meno maudit e visionaria hanno scatenato un contraccolpo che ormai è difficile catalogare come semplice nostalgia.
A comprare i 33 giri ora sono anche i giovani, talvolta giovanissimi, e i giradischi sono persino tornati in vendita negli autogrill, a conferma di un fenomeno multigenerazionale che ora interessa anche il cosiddetto mainstream. Non a caso, anche la Fimi (la Confindustria dei discografici) pubblica ogni settimana la regolare classifica di vendita dei vinili. E, nella settimana chiusa il 15 marzo, in testa ci sono i Negrita con Desert Yacht Club, seguiti da Tedua con Mogwli - Il disco della giungla e dai Ministri di Fidatevi mentre al quarto posto ci sono gli immancabili Pink Floyd di The dark side of the moon, in top ten da 57 settimane di seguito. Anche Rtl 102.5, la radio più ascoltata in Italia, ha introdotto per la prima volta da decenni un programma con il deejay che «suona» i vinili con tanto di regolamentare scricchiolio della puntina sui solchi. D'accordo, il protagonista è un marchio di garanzia, ossia Red Ronnie, ma il suo Live in vinile del venerdì sera ha raddoppiato la durata in sole due settimane, passando a furor di popolo da una a due ore. Attenzione, pur trasmettendo in un network, Red Ronnie non «passa» solo vinili di attualità, ma soprattutto dischi storici, brani rarissimi del passato, esecuzioni live, raccontando dettagli e curiosità proprio come facevano i dj delle radio private (fantastica, l'altra sera, l'intervista a Riki Maiocchi dei Camaleonti che raccontava la sua collaborazione con Ritchie Blackmore e Ian Paice dei Deep Purple).
Insomma, un fenomeno che ha sostanzialmente una spiegazione: la passione. Nell'immaginario collettivo (e anche nella realtà), l'epoca del vinile è quella legata alle rivoluzioni musicali, al passaggio dei gusti popolari dallo swing e dal melodramma popolare al rock'n'roll di Elvis e poi al pop dei Beatles e al rock di Rolling Stones e Led Zeppelin. In Italia, il passaggio da Nilla Pizzi e Natalino Otto a Modugno, Mina, Celentano, i cantautori genovesi e poi Battisti, De Gregori, Guccini eccetera. Ogni anno uscivano decine di dischi che sarebbero diventati storici e ogni fan trascorreva giornate intere ad ascoltare e riascoltare tutte le tracce, a leggere le note di copertina dopo averla ispezionata in ogni dettaglio, a indagare tra i ringraziamenti dell'artista, il nome dei musicisti, dei produttori, dei fonici, degli ospiti speciali... Intorno agli artisti c'era un'aura di mito dovuta a leggende popolari, alla prosa dei giornalisti, alla rarità delle loro apparizioni, alla forza vitale che la loro musica riusciva a trasmettere così intensamente da diventare protagonista dei cambiamenti sociali.
Ora, come prevedeva Brian Eno, la fruizione è quella di «musica da aeroporto», da sottofondo. Spesso, nel caso dell'utenza giovane o giovanissima, è quasi compulsiva con valanghe di «stream» sui brani del momento, che in poche ore raggiungono quantità di ascolti impensabili fino a pochi anni fa, milioni, decine di milioni di clic e views. Però, specialmente quando si è adolescenti, a calamitare l'attenzione sono il mistero, la forza creativa, gli eccessi e gli scandali, magari l'utopia oppure la frontalità delle idee. Ed è per questo che oggi anche i più giovani sono attratti dai «vecchi» vinili (ma non solo) e dal mondo che c'è intorno. Ogni celebre long playing (parola scomparsa che indica il 33 giri) è inserito in un romanzo di eccessi, concerti, litigi, ispirazioni. E, di fronte all'attuale produzione pop tendenzialmente asettica, ecco spiegato il fascino che il mondo vinile esercita non solo su chi è cresciuto con quella musica, ma anche su chi scopre che gli sarebbe piaciuto farlo ma è nato troppo tardi.
Perciò il fenomeno è ormai così clamoroso da «obbligare» tutti gli artisti, dagli U2 e Jovanotti fino ai nuovi «trapper», a pubblicare i propri dischi anche in formato vinile. E il Record Store Day ora gronda novità, brani esclusivi, addirittura anticipazioni (il 21 sia Van Morrison che The Alarm pubblicano il primo singolo dei loro nuovi dischi) che muoveranno vendite per centinaia di migliaia di copie (244mila soltanto negli Usa nel Record Store Day del 2012).
Stavolta l'elenco è sterminato. I Led Zeppelin mettono in commercio un 45 giri, colorato e inedito, con missaggi di Rock'n'roll e Friends, una golosità per intenditori. Fra i quattro titoli di David Bowie spicca l'omonimo disco di debutto pubblicato in vinile rosso e blu, un lato in mono e uno in stereo. La lista è pressoché infinita. Il quintuplo e fondamentale live At Folsom Prison di Johnny Cash si arricchisce delle prove presso il carcere californiano. Di Marvin Gaye escono il 45 giri di Let's get it on e il 33 giri di Sexual healing remixes. Di Prince esce la prima ristampa di 1999 e in Sundragon sessions dei Ramones ci sono i primi estratti da Leave home.
E l'Italia? Escono due dischi di Enzo Jannacci, il quasi dimenticato Gheru gheru e Ja Ga Brothers in coppia con Giorgio Gaber con una copertina stile Blues Brothers. E poi ancora Pino Daniele, Timoria, Mina, un inedito di Guccini cantato da Enzo Iacchetti, Venditti, le rarità di Carlo Martello e altre storie di Fabrizio De André, persino i Drammi gotici e Un esercito di 5 uomini di Ennio Morricone. Nella lista spuntano un'edizione speciale di Casta Diva di Maria Callas e, pensate! un disco di brani per bambini cantati da Kenny Loggins ma composte da John Lennon, Paul Simon e Rickie Lee Jones.
In poche parole, un'invasione di musica
che ha una storia ma anche un presente, la descrizione concreta di una passione che sembrava in estinzione e invece si è risvegliata, quasi per soccorrere la musica popolare nel momento più sterile di sempre.Paolo Giordano
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