Letteratura

"La tentazione della rima" e il dono di essere Rilke

Negli anni '20 la poetessa Anita Forrer pendeva dalle parole del maestro. Che fu fermo ma dolce

"La tentazione della rima" e il dono di essere Rilke

Più di tutte - fatale figura del suo animo tormentato - le piacque La pantera. In quella poesia, feroce e paga, il poeta descrive un felino tra le sbarre, osservato al Jardin des Plantes, Parigi: «Danza di forze intorno a un centro/ ove stordito un gran volere dorme». La ragazza si sentiva esattamente così: una belva in gabbia.

Il 7 novembre del 1919 Rainer Maria Rilke passò da San Gallo, Svizzera, per una lettura di poesie. La ragazza, Anita Forrer, restò folgorata dalla sua voce, dalla sua presenza evanescente, dalla sua poesia. Figlia dell'alta borghesia svizzera - il papà era un noto avvocato - Anita aveva diciotto anni. Il 2 gennaio del 1920, vinti timori e lampeggianti reticenze, Anita scrive al poeta, gli si getta addosso. Rilke risponde pochi giorni dopo, da Locarno, sorpreso dalla nuda schiettezza della ragazza. Le parla del Malte, il suo contro-romanzo («Quel libro contiene evocazioni così crudeli che sembra insinuare che la vita sia impossibile e irraggiungibile»); stigmatizza i «piccoli tentativi» poetici della ragazza: «farebbe meglio a esercitarsi a scrivere i suoi sentimenti in prosa». Rilke le promette il rigore («sono stato severo e prometto di esserlo sempre») che si addice ai maestri; Anita Forrer non scriverà più un verso. Piuttosto, la ragazza consegna al poeta il suo animo.

Dopo le prime lettere interlocutorie, Anita racconta a Rilke della sua presunta omosessualità: i genitori, per «chiarimenti», l'avevano spedita in una clinica psichiatrica, a Zurigo. Rilke è dolce, fermo, perentorio. «Le confusioni e le incertezze su questo argomento hanno così terribilmente preso il sopravvento ai giorni nostri; in effetti, un giovane che si affaccia alla vita non ha quasi mai il consigliere e il protettore di cui avrebbe bisogno, non lo trova nemmeno nella propria madre (disorientata come tutti), e per questo è così importante orientarsi secondo la propria innocenza, rimanendo imperturbabili e fiduciosi», le scrive il 2 febbraio del 1920. Il poeta guarda con sospetto ai medici che credono di poter geometrizzare gli affetti, quelli che «isolano un processo... considerano solo la componente fisica». Al contrario, «non sappiamo cosa sia il centro di una relazione amorosa, il suo punto più estremo, insormontabile e felice: a volte questo centro sarà forse concesso nell'ultima e più dolce intimità dei corpi (ugualmente tra donne), e nessuno può esserne giudice, se non l'implicita responsabilità delle stesse persone che si amano e gioiscono». Ad Anita il poeta parla di innocenza - «è lì che dimora una notte santa e oscura: rimanga lì» -, dei pesi del cuore: «Bisogna pur reggerlo, Anita, questo cuore così grande, così difficile da usare» (29 novembre 1920).

Il carteggio tra Rilke e Anita Forrer, di ineffabile delicatezza, durerà quattro anni, intensissimi. Per Rilke è l'epoca decisiva: ritenuto tra i grandi poeti del suo tempo, sente tuttavia di dover ancora scrivere il capolavoro. Nel 1920 compie 45 anni e si ritira nel castello di Muzot, il suo nuovo mondo (così ne scrive ad Anita: «questo paesaggio maestoso e magnanimo... è soprattutto mondo, un mondo plasmato nel senso più alto, vergine e intoccato, come all'indomani della Creazione»): lì, in tre settimane d'estasi, nel febbraio del 1922, compie le Elegie duinesi e I sonetti a Orfeo, tra le opere poetiche capitali di ogni tempo (per capirne la portata e l'influenza si legga la scelta delle «lettere da Muzot» a cura di Franco Rella, edita da De Piante nel 2022 come Noi siamo le api dell'invisibile).

Perla nell'oceanico epistolario rilkiano, il carteggio di Rilke con Anita Forrer è comparso per la prima volta in Germania, per Insel, nel 1982, a cura di Magda Kerényi, la moglie del grande filologo e storico delle religioni Károly Kerényi. In molti hanno scorto in questo nugolo di fogli il controcanto al femminile delle Lettere a un giovane poeta che Rilke scrisse tra il 1903 e il 1908 a Franz Xaver Kappus: l'edizione francese della corrispondenza con Anita è pubblica, non a caso, come Lettres à une jeaune poétesse (2021). Il libro è ora anche in Italia, per la cura di Marilena Garis, con il titolo La tentazione della rima, edito da Magog (la prima tiratura, in cento copie numerate, si trova a partire da qui: www.pangea.news).

Anita e Rilke si incontreranno altre due volte. La prima, il 4 ottobre del 1923, a Meilen, Svizzera, a casa di Nanny Wunderly-Volkart, intima amica del poeta. Anita «non riuscì a pronunciare una parola». La seconda, tre anni dopo, in agosto, in un albergo di Bad Ragaz. Anita è sconcertata: Rilke non risponde da tempo alle sue lettere. «Lei era l'unico punto luminoso e di guida nella mia vita», gli dice. Il poeta sorride, si scherma. Ripete, in forma nottambula, «che terribile malinteso». Nella sua ultima lettera - spedita il 14 febbraio del 1923 - concludeva augurando ad Anita la vita («La vita è appena iniziata per lei, mille conquiste e lo slancio verso esperienze sempre nuove...»); lui, ora, si approssimava alla morte, che lo avrebbe agguantato pochi mesi dopo, in dicembre. Forse è impossibile incontrarsi nella realtà, con questo corpo, dopo che ci si è scritti tutto.

Anita morì quasi centenaria, nel 1996. Alla fine degli anni Trenta aveva divorziato dal marito, un avvocato svizzero, per unirsi alla fotografa Annemarie Schwarzenbach. Durante la Seconda guerra mondiale fu coinvolta dai servizi segreti americani in operazioni anti naziste. Le lettere ricevute da Rilke sono un addestramento alla grande letteratura: il poeta le consiglia di leggere Francis Jammes, Jens Peter Jacobsen (autore di Niels Lyhne, libro di culto per Rilke), La saga di Gösta Berling di Selma Lagerlöf e la «meravigliosa corrispondenza» tra Bettina von Arnim e Goethe. Le impone I fiori del male di Baudelaire («un libro per la vita, per ogni vita, e che supera largamente la capacità del suo cuore d'oggi»), spunto per una poesia dedicatale il 14 aprile del 1921, dall'esordio prepotente: «Il poeta, lui solo, ha unificato il mondo/ che in ognuno di noi in frantumi è scisso».

Soprattutto, l'epistolario con Anita ci conduce nel duro codice della solitudine di Rilke. Per prepararsi all'opera, il poeta sente la necessità di un «isolamento sempre più stretto», proclama «la rigorosa rinuncia a qualsiasi forma di relazione». Che ferocia indifesa e indefettibile. Nel 1919, l'anno in cui conosce Anita, Rilke si accomiata dalla figlia. Per sempre. Ruth Rilke ha la stessa età di Anita: sposerà Carl Sieber nel 1922, due anni dopo darà alla luce la prima nipote di Rilke, Christine. Ormai lontano dal mondo, nel suo mondo, il poeta resta indifferente a tali futili accadimenti.

Il genio reca sempre un manto di crudeltà.

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