nostro inviato a Torino
«Mamma, se mi vedi chiamami!». «Siamo in tv, zia!». «Siamo su Italia unoooo!». Le oche giulive under 15 - saranno una trentina, fatte quasi tutte con lo stampo: impietosi pantaloni a vita bassa e lombi a salsicciotto - sono lì, sotto il palco, già dalle 7.30 del mattino. Lo spettacolo inizia alle 21, ma loro non si sarebbero perse per nulla al mondo il privilegio della prima fila. E nemmeno una battuta, un colpo d’anca o men che meno un accenno di gorgheggio - vanno bene anche le prove - di Amici in piazza, sfilata di quei talenti in erba che loro adorano e che soprattutto avrebbero voluto essere. Cantano stonate in favore di telecamere - «non sapevamo le parole, però mi raccomando, dillo anche a papà!», strillano nei cellulari - mentre vanno in delirio anche solo per il collaudo microfoni. Basta un «A, A, A prova» e giù applausi.
«È la tv, bellezza!», pare voler dire rassegnato Emanuele Filiberto a cavallo - faccia di bronzo lui, muso altrettanto scuro e metallico l’equino - assediato e difeso da alte transenne al centro del salotto torinese di piazza San Carlo. Quasi che la folla accorsa al Mediaset Day, mega evento pubblico per festeggiare l’imminente (il 20 maggio) switch over dalla tv analogica a quella digitale terrestre nel capoluogo e in altri 600 comuni del Piemonte, abbia riscritto la storia patria e le intenzioni del grande maestro, lo scultore Carlo Marocchetti. Perché più che il plastico e orgoglioso rinfoderar di spada dopo la vittoria nella battaglia di San Quintino, come scrivono le guide turistiche, quello del condottiero sembra un affranto segno di resa.
Ignora infatti del tutto il bronzeo Savoia - gli dà addirittura le spalle - la folla che alle 11.30 del mattino, una volta aperte le transenne, invade la tensostruttura targata Biscione. È un’invasione pacifica, ma soprattutto interclassista, inter-anagrafica e perfino inter-razziale: pensionati col cagnolino al guinzaglio e famigliole di immigrati ormai integrati, studenti con i jeans quasi alle ginocchia e madamin che nella folla stringono la borsetta buona, abbronzati flaneur che a pancia-in-dentro tentano conquiste tra le hostess di gamba smisurata e i soliti tizi capitati lì per caso - li trovi sempre - che chiedono spaesati: «Si vince qualcosa?».
Gli occhi fissano le pareti fatte di teleschermi, più alte del muro di Berlino, che diffondono suoni e immagini in super definizione, le bocche chiedono informazioni tecniche su decoder, prezzi e pay tv, ma sono soprattutto le mani quelle che non conoscono sosta. È la grande corsa al gadget.
Mani che si protendono per un berretto, che stringono vittoriose un orologino in gomma fatto a braccialetto, che giocherellano con le mini torce a pila, che girano e rigirano dei televisorini morbidi, di gommapiuma. «Cosa sono? A cosa servono? Che importa, tanto non si pagano». Vanno forte anche i dépliant, come ai tempi della storica Fiera Campionaria di Milano, quando tornavi a casa e la mamma ti buttava via tutti i pieghevoli dei trattori e delle gru che chissà perché tu, a soli dieci anni, avevi collezionato.
Non sembra nemmeno cogliere, il popolo digitale terrestre di piazza San Carlo, la benché minima eco delle altre manifestazioni in contemporanea a Torino. Non arriva, fin qui, sotto un Emanuele Filiberto sempre più rassegnato, il profumo di cipria del Gay pride accalcato in piazza Solferino, non si ode lo sfogliar di pagine dalla Fiera del libro e men che meno il ronzar di meningi dei rettori convenuti per il loro summit che inizia oggi al Valentino. Ma non si sentono nemmeno i sonori gridare e menar di mano volati tra Cobas e Fiom alla manifestazione dei dipendenti Fiat, senz’altro più preoccupati di poter conservare un lavoro “terrestre” oggi che non essere spettatori di una tv digitale domani. Più che normale, del resto.
È tuttavia un’Italia di gente normale anche quella che osserva, domanda e raccoglie piccoli ricordi di un giorno diverso, più colorato rispetto a quelli tinti del solito grigiore quotidiano. Commuovono soprattutto i pensionati, con gli occhi che ridono mentre centellinano vin rosé - «e chi se ne frega se il calice è di plastica» - facendo razzia di cremini Pejrano. Un primo, un secondo, un terzo cremino «e questo me lo porto a casa, così lo mangio dopo cena».
Una starlette bionda distribuisce e autografa le sue foto a colori, concedendo sorrisi, curve e dediche. «È per il mio nipotino», la implora uno. «Scusi, non ricordo il suo nome», si scusa un altro. Ma chi è? Nessuno sembra saperlo, ma che importa, «è pur sempre la tv, bellezza!».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.