Economia

Ultimatum di Marchionne: "Sì o no al piano Fiat"

L’ad del Lingotto, al tavolo con governo, sindacati ed enti locali, chiede una decisione sul progetto 'Fabbrica Italia': "Voglio una risposta convinta. Siamo la sola area del mondo dove il sistema industriale e commerciale di questa azienda è in perdita"

Sergio Marchionne ha perso la pazien­za. Durante un vertice a Torino con go­verno, sindacati ed enti locali l’ad della Fiat ha chiesto alle parti garanzie sulla funzionalità degli impianti italiani, pe­na il trasferimento della produzione al­l’estero: «Ribadiamo l’importanza de­gli investimenti di “Fabbrica Italia” da 20 miliardi, ma vogliamo la garanzia che le fabbriche funzionino». «Le no­stre non sono minacce, però non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvi­venza dell’azienda». Ecco un ampio stralcio dell’intervento di Marchionne.

di Sergio Marchionne*

Abbiamo passato gli ulti­mi tre mesi, da quando la Fiat ha annunciato i contenuti e gli obiettivi di Fabbrica Italia, tra scioperi, cortei, commen­ti e dichiarazioni da ogni par­te. E temo che potremo anda­re avanti all’infinito in questo modo (...). Ci sono solo due parole che, al punto in cui siamo, ri­chiedono di essere pronun­ciate. Una è«sì»,l’altra è«no». «Sì» vuol dire modernizza­re la rete produttiva italiana per darle la possibilità di com­petere. «No» vuol dire lascia­re le cose come stanno, accet­tando che i­l sistema industria­le continui a essere inefficien­te e inadeguato a produrre uti­li e quindi a conservare o ad aumentare i posti di lavoro. La scorsa settimana, il con­siglio di amministrazione del­la Fiat ha approvato i risultati del secondo trimestre. Si trat­ta di risultati che hanno sor­preso il mercato e che ci per­metteranno, alla luce dell’an­damento del terzo trimestre, di rivedere al rialzo gli obietti­vi per l’anno. Quello che non è noto è che l’unica area del mondo in cui l’insiemedel si­stema industriale e commer­ciale del gruppo Fiat è in per­dita è l’Italia (...). E quando si perde non si possono distri­buire premi sui risultati per­ché l’utile del gruppo provie­ne dal resto del mondo e non dall’Italia. «Fabbrica Italia» è nata per cambiare questa situazione e per sanare le inefficienze del nostro sistema industriale (...). «Fabbrica Italia» non è un accordo. È un nostro pro­getto. Non è stato concordato né con il mondo politico né con il sindacato. Per questo è incredibile la pretesa che ho sentito più volte rivolgere alla Fiat di rispettare un presunto «accordo». Non c’è stato nes­sun accordo, al di là di quello per Pomigliano (...). Abbia­m­o definito le condizioni indi­spensabili per rendere con­creto questo progetto. Sareb­be stato molto più semplice ­e anche molto più economi­co- guardare ai vantaggi sicu­ri­che altri Paesi possono offri­re. La corsia per venire in Ita­lia ad aprire un nuovo insedia­mento è drammaticamente vuota. Questa è la verità. La ve­rità è che la Fiat è l’unica azienda disposta a mettere 20 miliardi di euro in Italia. Una cifra che equivale quasi alla Finanziaria di cui si sta discu­tendo in questi giorni. Siamo l’unica impresa che ha deciso di investire in questo Paese in modo strutturale. La sola cosa che abbiamo chiesto è di avere più affidabi­lità e più normalità in fabbri­ca. Da qualcuno ci siamo sen­titi rispondere che stiamo ri­cattando i lavoratori, violan­d­o la legge o addirittura la Co­stituzione. Non voglio più commentare assurdità del ge­nere. Se questo è un gioco po­­litico, la Fiat non può e non vuole farne parte. Noi non stiamo agendo come sogget­to politico e non abbiamo nes­suna intenzione di farci coin­volgere. Se invece si tratta so­lo di pretesti per lasciare le co­se come stanno, è bene che ognuno si assuma la propria responsabilità, sapendo che il progetto «Fabbrica Italia» non può andare avanti e che tutti i piani e gli investimenti previsti per l’Italia verranno ridimensionati (...). Abbiamo solo bisogno di chiarezza: o «sì» o «no». Qua­lunque sia la risposta, La Fiat è disposta a gestire entrambe le scelte. Siamo un’impresa interna­zionale che, grazie al lavoro fatto negli ultimi anni, è capa­c­e di modellare le proprie stra­tegie industriali di fronte a qualunque circostanza. Nel fare questo non abbiamo mai chiesto soldi a nessuno e non chiederemo aiuti o incentivi. Stiamo ancora aspettando di ricevere dallo Stato metà dei rimborsi legati agli eco-incen­tivi che abbiamo finanziato noi direttamente ai clienti nel 2009 (...). Prima di partire con il piano, dobbiamo essere si­curi di poter gestire gli im­pianti, di rispondere nei tem­pi e con le condizioni richie­ste­dalle regole della competi­zione internazionale. Dobbia­mo avere la garanzia, ferma e assoluta, che gli stabilimenti possano funzionare. Chiedo solo la certezza di poterlo fare. Decidere di portare la nuo­va Panda a Pomigliano non è stata una scelta basata su prin­cipi economici e razionali. Non era - e non è - la soluzio­ne ottimale da un punto di vi­sta puramente industriale o fi­nanziario. Sarebbe stato mol­to più conveniente lasciare le cose come stavano e confer­mare la futura Panda in Polo­nia, dove è stata prodotta ne­gli ultimi sette anni con livelli di qualità eccezionali. Lo ab­biamo fatto considerando la storia della Fiat in Italia, quel­lo che da sempre rappresenta e il rapporto privilegiato che ha con il Paese. La trattativa che ne è scaturita è stata lun­ga e incerta e a volte ha preso delle pieghe assurde. Durante questo periodo ­che ancora non ha visto la fi­ne- abbiamo dovuto prende­r­e una decisione su dove allo­care il futuro modello L0 per il marchio Fiat. Assegnarlo a Mirafiori,come era stato anti­cipato a dicembre nell’incon­tro di Palazzo Chigi, era una delle tante possibilità sul tavo­lo. La scelta che abbiamo fat­to di portarlo in Serbia è nata considerando i tempi stretti che avevamo a disposizione per iniziare i lavori e adegua­re le linee di produzione. Il progetto doveva partire al più presto, sia per ragioni com­merciali sia per ragioni indu­striali. Avevamo la necessità di scegliere un impianto che ci desse la garanzia di rispon­dere alle esigenze del merca­to. Considerando le incertez­ze in cui si trovava - e ancora si trova - il sistema italiano, era impossibile pensare di im­postare questo lavoro in Ita­lia, rispettando le tempisti­che richieste dal progetto. Questo, però, non toglie pro­spettive al futuro di Mirafiori. Ne ha eliminata una tra mol­te. La gamma dei prodotti pre­vista nel piano quinquennale del gruppo è talmente ampia che ci sono altre possibilità a disposizione. Considerando sia i prodotti Fiat sia i modelli Chrysler, esistono altre alter­native che possono portare al­lo stesso risultato e garantire gli stessi volumi di produzio­ne previsti. È chiaro che più si aspetta, meno possibilità re­stano (...). Si parla molto della possibi­li­tà che la Fiat decida la disdet­ta dalla Confindustria e quin­d­i dal contratto dei metalmec­canici alla sua scadenza. So­no tutte strade praticabili, di cui si discuterà domani (oggi, ndr) al nuovo tavolo convoca­to con il sindacato nazionale. Se è necessario siamo dispo­sti anche a seguire queste stra­de. Ma non è questa la sede per entrare nei dettagli (...). Quello che vorrei fosse chia­ro è che non si fanno gli inte­ressi dei lavoratori rifiutando di modernizzare gli impianti e i metodi di produzione, rifiu­tando di creare le condizioni per rendere un’azienda com­petitiva sul mercato globale. Non si fanno gli interessi dei lavoratori difendendo un si­stema di relazioni industriali che non è in grado di garanti­re che gli accordi stipulati ven­gano effettivamente applica­ti. Non si proteggono le perso­ne usandole per scopi politici o spingendole al caos nelle fabbriche (...). Chi agisce veramente nel­l’interesse dei lavoratori non passa più di tre mesi a distor­cere la realtà, a trovare giustifi­cazioni che non stanno in pie­di, a inventare scuse al limite della moralità. Stiamo parlan­do di uomini e donne della Fiat, di persone che in gran parte hanno capito e apprez­zato l’impegno che la loro azienda ha deciso di assume­re in Italia. La responsabilità che noi abbiamo è prima di tutto verso di loro. L’apparte­nenza a una rappresentanza sindacale è una scelta che fan­no i singoli e che può essere cambiata.L’appartenenza al­l’azienda è un dato di fatto che è immutabile. Il rapporto che abbiamo noi, che ha la Fiat con le sue persone è total­mente diverso (...). In ballo non ci sono solo 20 miliardi di investimenti.In ballo c’è il pe­so della presenza Fiat in Italia (...). Siamo disposti a farci ca­rico di tutti gli investimenti necessari e ad assumerci il ri­schio d’impresa che è collega­to a un progetto così ambizio­so. Non siamo disposti a met­tere a rischio la sopravviven­za dell’azienda (...). Capita di rado nella vita che ti venga da­ta una seconda chance (...). Possiamo creare le condizio­ni per qualcosa che non ab­bia sempre bisogno di inter­venti d’emergenza. Qualcosa che sia solido e duraturo, da cui partire per immaginare il futuro (...

).
*Amministratore delegato di Fiat Group  

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