Cronaca locale

"Umiliata due volte. La giustizia premia chi l'ha violentata"

L'ira della donna stuprata da Omar Confalonieri. L'avvocato Mattia Pellacani racconta la sfiducia della sua assistita: "È sfiduciata dallo sconto di pena"

"Umiliata due volte. La giustizia premia chi l'ha violentata"

«Rabbia, dolore, sfiducia nei confronti della giustizia»: sono i sentimenti che la donna vittima di abusi confida al proprio legale, l`avvocato Matteo Pellacani, subito dopo la sentenza della Corte d`appello per Omar Confalonieri, che due giorni fa è stato condannato a quattro anni e quattro mesi di carcere. L'agente immobiliare è accusato di violenza sessuale ai danni di una 39enne. La donne e il compagno sarebbero stati drogati con le benzodiazepine, riaccompagnati a casa e poi Confalonieri avrebbe abusato di lei in presenza della figlia di nove mesi. In primo grado, con il rito abbreviato, l'uomo era stato condannato a sei anni e quattro mesi.

Avvocato Pellacani, come si è arrivati a una riduzione di pena di tale entità?

«In virtù di un concordato, o patteggiamento, in Appello. È previsto dal Codice, tuttavia fino all'entrata in vigore della riforma Cartabia, il 30 dicembre scorso, non era applicabile a reati ostativi, gravi, come quelli sessuali. Ora invece il divieto per questo tipo di crimini è caduto».

Lei, come difensore delle parti civili, non ha potuto fare nulla?

«No. Non ho avuto possibilità di interloquire su un accordo che era già stato preso - e l'ho scoperto solo il giorno dell'udienza - tra la difesa e il sostituto procuratore generale. La parte civile non viene consultata in tale circostanza. I difensori si sono presentati in aula rinunciando ai motivi di appello e con l'istanza di patteggiamento. La Corte avrebbe potuto rigettarla, motivando la decisione, ma non l'ha fatto e ha accolto la richiesta di equiparare le attenuanti generiche alle aggravanti. Da qui la riduzione di pena».

La condanna è definitiva?

«Sì, per quanto riguarda il nostro procedimento. Confalonieri ha in corso un procedimento parallelo, per altri cinque casi simili. Se verrà condannato, i suoi legali potranno chiedere la continuazione della pena, che non sarà la somma matematica delle due condanne, ma sarà di certo più bassa».

Come ha reagito la sua assistita?

«È sbigottita, delusa, sfiduciata. Ha fatto notare che si parla tanto di violenza sulle donne, si è varato il Codice rosso e poi però nei tribunali si dà il messaggio che con certe condotte gravissime ce la si può cavare con condanne lievi... Ritiene che la pena non sia adeguata alla gravità del fatto. Ed è amareggiata perché l'imputato ne esce quasi vincitore».

E anche perché potrebbe rifare lo stesso ad altre donne?

«Esiste questo forte rischio. L'imputato ha il profilo di un predatore seriale, la prima condanna a suo carico per una vicenda analoga è del 2008 a Monza. Dopo quella cercò di riabilitarsi dalla dipendenza dalla droga e ricominciò a esercitare la professione. Sappiamo com'è andata poi... Inoltre ha già scontato un anno e mezzo di carcere e presto potrà chiedere i domiciliari e gli altri benefici di legge».

Nello stesso giorno della vostra sentenza ce n'è stata un'altra per le violenze sessuali di gruppo di piazza Duomo a Capodanno. In questo caso un 22enne è stato condannato in primo grado a cinque anni e dieci mesi. Ai non addetti ai lavori appare incoerente, non crede?

«Davanti a tali fatti si perde un po' di fiducia nelle istituzioni. Le violenze sessuali sono in aumento, ma in sostanza non c'è una risposta adeguata della giustizia. In generale i giudici dovrebbero differenziare la pena tenendo in considerazione la gravità delle condotte e il fatto nel suo complesso. Per piazza Duomo l'assalto del branco, per il nostro caso la premeditazione, la trappola subdola tesa alle vittime, la modalità efferata di un uomo che non si ferma davanti a nulla. Spesso manca proporzionalità».

Secondo lei manca anche una risposta adeguata per le vittime?

«La risposta della giustizia dovrebbe essere congrua, proporzionata al trauma delle vittime, le pene per i reati sessuali dovrebbero essere esemplari. Nel nostro caso non è stato così. Un altro motivo di dolore dei miei assistiti, e me lo ripetono di continuo, è che i giudici hanno ignorato che è stata coinvolta una bambina piccolissima.

Non si è considerato che la bimba è rimasta anche lei in balia dell'imputato per ore, che poteva capitarle il peggio».

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