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Dai trulli ai furneddhi, le costruzioni tipiche di Puglia

Trulli, furneddhi, pajare e caseddhi sono edifici tradizionali pugliesi, testimoni di un tempo che fu nella Terra d'Otranto

Puglia: viaggio tra le costruzioni tipiche

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Puglia: viaggio tra le costruzioni tipiche

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Il paesaggio di Puglia, soprattutto quello rurale, è interrotto sulla linea dell’orizzonte dalle costruzioni più tipiche. Gli edifici, nati per le popolazioni di campagna, sono stati talvolta inglobati dalla città, mentre altre volte vi si mantengono ai margini, negli agri chiamati ancora “feudi” come retaggio di un Ancien Régime.

Trulli, masserie, furneddhi, pajare e caseddhi costituiscono le unità abitative tradizionali e rurali pugliesi, sebbene per lo più ciò avvenga nella cosiddetta Terra d’Otranto, quella grande provincia che fino al 1921 inglobava Lecce, Brindisi e Taranto. Alcune di queste costruzioni sono state restaurate e rivisitate diventando non solo attrazione turistica ma spesso trasformandosi in vere e proprie strutture ricettive.

Trulli

Trulli

Concentrati nella zona della Valle d’Itria e in particolare nella città di Alberobello, i trulli, che fanno parte del patrimonio Unesco, sono probabilmente gli edifici pugliesi più noti e amati dai turisti. Si tratta appunto di antiche case rurali in pietra calcarea, sormontate da tetti conici talvolta decorati con simboli spirituali in cenere bianca. Sono dotati solitamente di una cisterna, di un focolare e di un’alcova, ovvero tutto il necessario per costituire una residenza temporanea o definitiva per proprietari terrieri e contadini.

Masserie

Masseria

Le masserie sono invece strutture molto più grandi e possono incorporare alcuni trulli - in base al luogo in cui si trovano - ma anche altre costruzioni tipiche come furneddhi e pajare. Ospitavano proprietari terrieri e contadini nello stesso contesto, possedevano spazi per la raccolta delle masserizie - a cui devono il nome - e degli strumenti agricoli, forni e cisterne per essere autosufficienti. Inoltre, in una società di un periodo ampio come il tempo che intercorre tra l’Alto Medioevo e la Rivoluzione Industriale, le masserie erano luoghi in cui i compiti venivano suddivisi per genere. Da un lato i “massari”, ovvero gli uomini che si occupavano dei campi, dall’altro le “massare”, cioè le donne che soprintendevano l’organizzazione domestica della masseria tra cucina, pulizia, educazione dei figli.

La costruzione in alcuni casi era però anche una fortezza priva di potere, un luogo di rifugio per le popolazioni rurali in caso di attacco. Un’altra caratteristica interessante è che la masseria è costituita da un cortile centrale in cui si svolgeva la vita della comunità residente, un luogo che racconta storie di fratellanza spesso senza legami famigliari tout court. Oggi molte masserie, come detto, sono state ristrutturate e adibite a strutture ricettive, sovente molto confortevoli e lussuose pur nel loro essere tradizionali e rustiche.

Furneddhi, pajare e caseddhi

Pajara

Si tratta più o meno della stessa costruzione, anche se talvolta con qualche differenza. Costruiti con una forma troncoconica in pietra calcarea a secco - esattamente come i muri che ancora delimitano le antiche proprietà pugliesi - furneddhi, pajare e caseddhi possono avere diverse dimensioni, ma la struttura resta la stessa: anche negli edifici più piccoli veniva ospitata la famiglia del contadino (che spesso dormiva su un solo grande lettone) e c’era spazio per gli attrezzi agricoli. Inoltre sui muri venivano essiccati frutti o ortaggi in vista dell’inverno, dai pomodori ai peperoni, fino ai fichi, che rappresentavano il dessert naturale pugliese per eccellenza fin dall’antichità.

I nomi dialettali di questi edifici, che appartengono al salentino in generale, ovvero all’idioma parlato al di sotto della linea immaginaria Brindisi-Avetrana, sono evoluzioni dal latino tardo in forma conservativa rispetto ad altri volgari del tempo. Pajara, per esempio, viene da palea(m), “paglia”, che indica il materiale con cui spesso veniva rivestito il tetto dell’edificio.

Furneddhi e caseddhi vengono invece rispettivamente da furniculu(m), “piccolo forno”, e casicula(m), “piccola casa”, con sincope vocalica e trasformazione del nesso composto da occlusiva e laterale (che in italiano si trasforma solitamente in un’occlusiva velare sorda) in cacuminale.

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