Letteratura

Vinci Trafalgar poi muori. E Nelson diventò mito

Gastone Breccia racconta tattiche, protagonisti e fatti della battaglia navale che cambiò la storia

Vinci Trafalgar poi muori. E Nelson diventò mito

Era piccolo e fragile. Le sue condizioni di salute sulla carta avrebbero dovuto impedirgli non solo di diventare l'ammiraglio più famoso della Storia moderna (e forse di tutti i tempi), ma addirittura di navigare.

Eppure il corpo gracile, era alto 5 piedi e 7 pollici, le spalle piccole, le membra martoriate dai combattimenti non furono mai un freno per Horatio Nelson. Anzi sbatteva la sua fragilità, le ferite in faccia a tutta la flotta. Un perpetuo monito, se lo faccio io potete farlo anche voi. Un trascinatore capace di invertire ogni stereotipo fisico.

E dire che il suo primo comandante, lo zio acquisito Maurice Suckling, che lo accolse come midshipman sulla Raisonnable aveva annotato: «Cosa avrà fatto il povero Horace, che è così fragile, per essere destinato lui tra tutti gli altri ragazzi alle asprezze della vita di mare? La prima volta che entreremo in azione, una palla di cannone potrebbe staccargli la testa, e risolvere d'un colpo i suoi problemi».

Ma nessuna palla di cannone riesce a staccare la testa al piccolo futuro ammiraglio. Si ammala spesso. Al principio del 1794, quando è partito ormai il conflitto con la Francia è in Corsica per bloccarne i porti principali; durante la presa di Calvi viene colpito e perde l'occhio destro. Nel luglio del 1797 partecipa al temerario ma inutile attacco sferrato contro Santa Cruz de Tenerife, nelle isole Canarie, lo colpiscono ancora e perde il braccio destro. Ma resta sul ponte, battaglia dopo battaglia. E per questo la flotta britannica lo venera, è un uomo che sanguina e non molla, non una statua.

È sul ponte della Hms Victory anche il 21 ottobre del 1805 nei pressi di Capo Trafalgar, quando la flotta inglese gioca il tutto per tutto prima dell'arrivo del maltempo. Ha voluto rompere la linea del nemico per primo, quando la Hms Neptune da 98 cannoni, comandata dal suo caro amico Thomas Fremantle, ha provato a superare la sua Victory l'ha spedita indietro urlando di persona: «Neptune, ammainate i coltellacci e scadete di poppa». Trafalgar era la sua battaglia e lo sapeva, nessuno gli avrebbe levato la scena. La Victory è nel mezzo dello scontro, affronta a meno di un tiro di moschetto di distanza la Redoutable. Il piano di Nelson ha funzionato, le navi inglesi hanno tagliato la linea di quelle francesi investendole con una pioggia di proiettili a distanza ravvicinata nella zona più fragile: la poppa. Ma si combatte e nonostante il vantaggio inglese la mischia è furibonda. Un cecchino della Redoutable lo vede, mentre è sul cassero con Thomas Masterman Hardy. Spara, lo colpisce alla spina dorsale, con un piccolo proiettile da 0,69 pollici: nessuna palla di cannone. Lo portano nell'alloggio dei guardiamarina dove opera il chirurgo di bordo. Non c'è niente da fare ma resta lucido, dice che sente un fiotto di sangue nel petto, che sa di morire. Intanto continua a chiedere della battaglia. Quando il comandante Hardy riesce ad andare da lui può dirgli che almeno dodici navi nemiche si sono già arrese. Ma ce ne sono cinque che puntano verso la Victory mentre due o tre navi inglesi corrono in soccorso all'ammiraglia. Ma è tardi, Nelson muore e la battaglia si spegne con lui. Da lì si accende la leggenda che ha reso questo scontro il più studiato delle guerre napoleoniche a parte Waterloo.

E sbaglierebbe chi considerasse la battaglia come un'azione difensiva per impedire alla potente flotta franco-spagnola di minacciare l'Inghilterra. Napoleone aveva già abbandonato il progetto da settimane. Nelson condusse una manovra aggressiva e con uno scopo preciso: consegnare alla Royal Navy l'incontrastato dominio sui mari del Mondo. La Gran Bretagna lo avrebbe mantenuto per un secolo abbondante, creando molto del mondo che conosciamo oggi.

Questo e molto altro troverete nel libro di Gastone Breccia, professore di storia militare all'università di Pavia, appena pubblicato per i tipi di Einaudi: Trafalgar. La battaglia navale (pagg. 322, euro 18).

Breccia ricostruisce vite e tattiche, percorsi e rotte, scelte e fatti casuali che portarono le flotte in rotta di collisione. Rende l'orrore della carneficina ma rende anche perfettamente la meraviglia dello spettacolo. «Il capitano Edward Codrington della Orion, chiamò sul cassero i suoi ufficiali e disse loro di osservare e ricordare: perché nessuno prima di allora, aveva visto una scena di tale bellezza». Sessanta navi di linea, più le unità minori, con tutte le vele dispiegate al vento, maestose, scivolavano sull'acqua preparandosi a combattere.

Le navi inglesi avanzarono sull'onda lunga che prometteva a breve tempesta, alla velocità di due nodi. L'ammiraglio francese Villeneuve cercava invece di stringere il vento perdendo continuamente abbrivio ma contando su quel lungo lasso di tempo in cui le sue fiancate avrebbero sparato a tutta potenza sulle navi inglesi e i loro pochi cannoni di prua. I francesi però sparavano male e Nelson lo sapeva, ancora peggio con il mare così ondoso al traverso. Quando la distanza divenne serrata, l'artiglieria inglese cambiò la storia del mondo. Nelson aveva vinto, anche se fece appena in tempo a vederlo.

Il ragazzo fragile diventato ammiraglio non ha vissuto un attimo in più di quello necessario a diventare per sempre se stesso.

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