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La memoria di Grilz infangata nel nome dell'odio politico

"La verità storica è piegabile alla propaganda"

La memoria di Grilz infangata nel nome dell'odio politico

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La memoria di Grilz infangata nel nome dell'odio politico

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«La verità storica è piegabile alla propaganda». Il professionista dell'antifascismo Paolo Berizzi lo sa bene. Anche perché è il primo a farlo. L'articolo in cui discetta di come «la nuova destra cancella l'anti-fascismo» (Repubblica di ieri) ne è la prova. In quel pezzo Berizzi riesce a mettere insieme il filosofo Julius Evola, lo scrittore tedesco Ernst Junger e Almerigo Grilz, primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un giornalista liquidato da Berizzi come «picchiatore missino». Peccato che Almerigo Grilz - morto a 34 anni ucciso da un proiettile mentre filmava una delle tante guerre dimenticate dell'Africa anni '80 sia stato - assieme a Fausto Biloslavo - l'amico e collega con cui ho iniziato questa professione. E questo mi consente di spiegare come Berizzi sia il primo, in questo caso, a «piegare la verità storica alla propaganda». Non voglio certo negarlo la mia amicizia con Almerigo si cementa, a metà anni '70, tra le fila del Fronte della Gioventù di Trieste. C'è da stupirsi? In quegli anni dalla parte opposta militano, tanto per far qualche nome, Adriano Sofri, Paolo Mieli, Toni Capuozzo, Enrico Deaglio, Lucia Annunziata, Gad Lerner, Paolo Liguori, Andrea Marcenaro, Carlo Panella, Riccardo Barenghi e Lanfranco Pace. Eppure Berizzi non si sognerebbe mai di chiamare «assassino rosso» un Sofri, condannato in via definitiva per l'omicidio Calabresi. Né di etichettare gli altri come «picchiatori comunisti». La discriminante è, in questo caso, sostanziale. La militanza in un'estrema sinistra violenta e ideologica quanto l'estrema destra dell'epoca non ha mai impedito a quei colleghi di trasformarsi in cronisti o inviati. Per Almerigo quei trascorsi rappresentano invece uno stigma indelebile. L'Almerigo Grilz collaboratore del Sunday Times e Channel Four in Inghilterra, della Nbc negli Usa e di tante riviste e Tv europee quando firmava per Panorama o la Rai doveva vedersela con le telefonate anonime che segnalavano ai direttori la sua passata militanza politica. Abitudine a cui s'è allineato un Ordine dei Giornalisti di Trieste che continua a considerare «politicamente scorretto» affiancare una lapide con il nome di Grilz accanto a quelle apposte all'entrata della sede in memoria dei colleghi triestini Marco Luchetta, Alessandro Ota, Dario D'Angelo e Miran Hrovatin. Dettagli sufficienti a spiegare perché Giorgia Meloni, citata dal Berizzi, sognasse «una nazione nella quale le persone possano dire come la pensano e non perdere il posto di lavoro per questo». Perché la differenza sta tutta qui. Noi in virtù delle nostre idee e di un passato tanto remoto quanto adolescenziale rischiavamo di non poter manco lavorare. Berizzi, Scurati e tutti gli altri antifascisti da salotto continuano - nonostante il presunto regime instaurato da Giorgia Meloni e dal suo governo - a recitare la parte di perseguitati immaginari occupando tv e grandi giornali.

E proprio questo gli consente di «piegare la verità storica» alle proprie tesi.

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