Magistratura

Il rischio è la corporazione. Non i magistrati di destra

Segnale di Magistratura indipendente sulla vicenda Apostolico: tanti giudici non vogliono essere etichettati

Il rischio è la corporazione. Non i magistrati di destra

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I ritardi con cui il Csm ha nominato Filippo Spiezia alla procura di Firenze e Nicola Gratteri alla procura di Napoli, unitamente alle mancate nomine di alcuni vertici di altre importanti Procure distrettuali come ad esempio Messina, Catania, Lecce, Torino, L'Aquila, hanno offerto lo spunto ad alcuni commentatori per imputare tali ritardi non solo alle permanenti ed inevitabili disfunzioni del sistema correntizio, quanto ad uno scenario in cui «la destra della magistratura e la destra della politica vincono».

Ora, considerato che tali commenti provengono da testate giornalistiche, notoriamente attente alle dinamiche interne della parte politicamente più schierata della magistratura, è evidente che, in realtà, più che di uno scenario effettivamente esistente si tratti di uno scenario fortemente temuto ancor di più alla luce delle recenti prese di posizione della corrente di Magistratura indipendente all'interno dell'Anm, che sulla oramai nota vicenda Apostolico ha dato un segnale molto chiaro: sono tanti i magistrati che non si riconoscono più nella ideologizzazione della magistratura e che allo stesso tempo vogliono battersi per un altro modello di magistrato, che non appaia fazioso e come tale non sia prevenuto per via della sua fede, in una ideologia che in qualche modo possa interferire nella sua attività interpretativa delle norme. Evocare l'idea che esista una profilazione del magistrato per consegnarlo all'opinione pubblica come un soggetto inadeguato o che non assicura il contrasto all'immigrazione illegale è una immagine surreale, alla quale tanti non sono più disposti a credere.

Squarciando il velo della ipocrisia, è indubbio che il tema della de-ideologizzazione della magistratura sia fisiologicamente collegato ad un'altra importante questione, rappresentata dalla correntocrazia che ancora oggi è viva e vegeta e che caratterizza il meccanismo delle nomine. In generale, si dice sempre che ogni nuovo Csm sia migliore dei precedenti. E del Csm attuale deve essere riconosciuta la volontà di un reale cambiamento. Ma il problema è a monte: sul versante delle nomine superare la correntocrazia significa codificare con legge ordinaria i requisiti per l'accesso alla dirigenza giudiziaria, per consentire il trasparente esercizio della discrezionalità amministrativa e l'affermazione della meritocrazia al posto del predominio degli accordi tra le correnti, che inevitabilmente finiscono per produrre ritardi.

Sul punto, se l'obiettivo della riforma Cartabia era evitare che magistratura e politica sedessero allo stesso tavolo, possiamo tranquillamente dire che il risultato non è stato raggiunto. Era inevitabile, infatti, che l'aumento dei componenti del Csm rendesse ancora più difficoltoso il raggiungimento degli accordi tra i rappresentanti dei gruppi associativi, perché se prima era sufficiente il numero di 13 voti per essere eletti, adesso è necessario fare uno sforzo in più ed arrivare alla fatidica cifra di 17 voti.

Ed è chiaro che questi ritardi si ripercuotono sulla organizzazione del sistema giustizia ed ancora di più su quegli uffici, come le Procure distrettuali, che oggi sono chiamate ad affrontare le più gravi forme di criminalità, anche nel difficile punto di equilibrio con la Procura Nazionale Antimafia. Nata nel 1992 da una intuizione di Giovanni Falcone, proprio la Procura Nazionale Antimafia venne osteggiata dalla magistratura associata che mal sopportava un uomo solo al comando e per queste ragioni inizialmente limitata ad un mero ruolo di coordinamento. Nel corso degli anni tale Procura ha però ampliato le proprie competenze, entrando così, in alcuni casi, in conflitto con l'ordinaria attività delle Procure distrettuali, gelose a loro volta di difendere le proprie prerogative ancor di più quando la titolarità dell'ufficio appartiene a magistrati di indubbio valore morale e professionale.

In conclusione, il nemico da temere non

è l'ipotetico accordo di una destra della magistratura con la destra della politica ed il suo sopravvento rispetto alla sinistra giudiziaria, ma l'arroccamento e la difesa corporativa di un Sistema che non vuole cambiare.

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