Cronaca giudiziaria

Licenziare i pigri? Adesso si può fare

I giudici: mancanza di "diligenza e professionalità" un criterio per allontanare un dipendente

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Il lavoratore pigro e oltremodo negligente può essere licenziato. Così è deciso. Un pronunciamento della Cassazione mette in guardia i pelandroni di professione. In una recente sentenza, gli ermellini hanno confermato la legittimità di un licenziamento per «scarso rendimento», fattispecie alla quale un datore di lavoro si era appellato per congedare un proprio dipendente ritenuto particolarmente inoperoso. Nel caso specifico, i giudici hanno valutato l'insufficiente redditività del soggetto non solo in riferimento alla sua assenza per malattia (che comunque non superava il periodo entro il quale non è consentito licenziare), ma anche rispetto a una prestazione lavorativa considerata al di sotto di un parametro minimo di impegno.

Sebbene la Cassazione si fosse espressa già in passato su situazioni analoghe, la sentenza riaccende i riflettori su un'azione disciplinare quella contro lo scarso rendimento che in realtà deve attenersi criteri ben circostanziati. Secondo la giurisprudenza, infatti, questo provvedimento è giustificato solo in presenza di una grave violazione degli obblighi contrattuali da parte del dipendente, evidenziata da una «enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione e quanto effettivamente realizzato». Gli ermellini hanno sottolineato l'importanza di una valutazione complessiva delle attività svolte dal lavoratore, unita all'analisi dei dati forniti in merito alle sue presunte inadempienze. Il datore di lavoro, inoltre, non può stabilire una «soglia minima di produzione» arbitraria, ma deve basarsi sulla media delle attività svolte dai vari dipendenti. La procedura che porta al licenziamento prevede poi che questi segua una serie di passaggi preliminari, tra cui l'invio di un preavviso al dipendente, la contestazione scritta delle condotte incriminate e la possibilità per il lavoratore di difendersi entro un certo termine. Il mancato raggiungimento di un risultato prefissato, peraltro, non costituisce di per sé un inadempimento.

Giusto che sia così, anche se ciò non basta ad assolvere i potenziali scansafatiche. Un'altra recente sentenza di Cassazione ha difatti stabilito che, laddove siano individuabili dei parametri per accertare che «la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie», lo scostamento da essi «può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell'attività resa per un apprezzabile periodo di tempo». E dunque, può scattare il licenziamento.

Il più vicino pronunciamento dei giudici si inserisce in questo contesto giurisprudenziale, che viene confermato nel suo generale impianto. Ma il tema resta in ogni caso delicato e non sempre inquadrabile con facilità. Il «pigrometro» per l'ideale computo delle negligenze ancora non esiste: ogni caso va dunque valutato a sé.

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