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La pace nel nome del padre. Fdi in piedi per Berlinguer

La Russa omaggia l'ex segretario Pci con la figlia Bianca. "Onoriamo la sua onestà e rettitudine, come Almirante"

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Nel nome del padre. «Grazie per essere venuta nella tana del lupo. I cognomi non si cancellano e chi si chiama Berlinguer il coraggio ce l'ha dalla nascita». La platea di Fdi applaude e Ignazio La Russa, con un gesto istintivo ma anche molto politico, balza in piedi e rende omaggio al segretario del Pci, morto proprio quarant'anni fa. Bianca, la figlia, che lo sta intervistando dal palco della kermesse di Fdi, si emoziona. «Qualcuno vorrebbe che la tradizione familiare non contasse - dice il presidente del Senato - Per noi invece conta parecchio e in te onoriamo anche la figura del tuo papà, la sua onestà e rettitudine. Questa standing ovation cui mi unisco è la coerente continuazione dell'ossequio che il capo della destra tributò a Enrico Berlinguer nel giorno della sua scomparsa».

Infatti. Giorgio Almirante, in quella primavera del 1984, sfidando le convenzioni e i suggerimenti dei dirigenti del suo partito, decise di entrare nella camera ardente del leader comunista a Botteghe Oscure per rendergli omaggio. Un atto di fair play, del resto i due, così lontani, opposti per ideali e storia, si stimavano e si consultavano attraverso una specie di diplomazia riservata. E si incontravano di nascosto in una stanza, accanto alla commissione Lavoro, all'ultimo piano di Montecitorio. Discutevano di terrorismo, di come fare uscire l'Italia da quel periodo buio. Quattro anni dopo, nel 1988, il Pci ricambiò il gesto di attenzione mandando Giorgio Pajetta ai funerali di Almirante. Perciò avversari, non nemici. La Russa spera che il rispetto reciproco di quei tempi rinasca oggi, in un Paese diviso su tutto, che litiga pure il giorno in cui si commemora la Liberazione. «I valori positivi della Resistenza sono scritti nella prima parte della Costituzione - spiega il presidente del Senato - e lì la parola antifascismo non c'è. Se però con antifascismo si intende un no deciso alla dittatura e un no deciso al nostalgismo, ebbene io sono antifascista. Ma quello militante degli anni 70 è un'altra cosa». Il busto di Mussolini? «Non me ne pento, è un'eredità di mio padre. Che dovevo fare? Avrei dovuto buttarlo nel cestino? L'ho dato a mia sorella». Su via Rasella invece ammette di aver sbagliato. «Ho parlato di una banda militare, mi dovevo documentare meglio». Servirebbero la correttezza e il garbo dell'epoca di Berlinguer. «Il dibattito sul presidenzialismo - insiste - ha attraversato anche il Pci. Se tu con il tuo cognome convinci la sinistra a dire che il premierato non va bene e ci vuole l'elezione diretta del capo dello Stato, vedrai che Meloni sarà d'accordo». Bianca all'inizio ci tiene a puntualizzare. «Non c'entra il mio cognome, dopo quarant'anni non posso certo sapere che cosa ne avrebbe pensato. Qui parlo solo per me stessa, non tiriamolo in ballo. Parliamo di quello che ha fatto, non di quello che avrebbe detto oggi». Poi con gli applausi si scioglie. «Essere sua figlia la considero una fortuna, un dono della vita che purtroppo è terminato troppo presto». Il pubblico FdI è tutto in piedi. «Vi ringrazio davvero. Mi fa sempre molto piacere quando la sua figura viene rispettata pure da chi la pensa in un altro modo». Entra pure lei nel clima del rispetto, ricorda la strage di Primavalle, il rogo dei fratelli Mattei. «Da figlia di comunista, vi dico che di quella foto in casa mia si parlò per giorni e giorni». E strappa altri applausi quando parla di Mario Lupo, Walter Rossi, Sergio Ramelli, Valerio Verbano, giovani militanti di destra e di sinistra uccisi negli anni di piombo.

Citati tutti insieme.

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