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"No al partito personale". La rivolta dei notabili Pd ha costretto Elly alla resa

Non regge il patto con Bonaccini, Zingaretti e De Luca. La base e i padri nobili della sinistra mollano la leader. Decisivi il pressing di Prodi e il "no" della Annunziata

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La goccia che ha fatto traboccare il vaso e costretto Elly Schlein al ripensamento, raccontano, è stato quel whatsapp arrivato ieri mattina sul suo telefonino. E firmato da Lucia Annunziata: proprio lei, fiore all’occhiello delle liste Pd nel Sud, prima capolista «esterna» annunciata in pompa magna dalla segretaria in tv.

Senza giri di parole, la giornalista si diceva pronta a rinunciare alla candidatura («è a tua disposizione») ma di non poter nascondere il «completo disaccordo» con la decisione di infilare il proprio nome nel logo: «Sarebbe la trasformazione del Pd in un partito personale proprio mentre la maggioranza vuole il premierato, che distrugge l’attuale assetto costituzionale: così si mette il Pd sulla strada dell’accettazione di quel modello».

La sorpresa sganciata da Schlein domenica esplode come una bomba proprio nell’area della sinistra che, fuori e dentro il recinto Pd, più aveva tifato per la palingenesi schleiniana. Una variabile che la segretaria non aveva calcolato, evidentemente: aveva pensato che mettersi d’accordo con il capo della minoranza, Stefano Bonaccini, e con alcuni degli odiati «cacicchi» (da Nicola Zingaretti nel Lazio a Vincenzo De Luca in Campania), offrendo in cambio garanzie su liste e ruoli, sarebbe bastato. E invece si è trovata a fronteggiare la rivolta di quelli che considerava i mondi di riferimento della sua leadership. Che per la prima volta si ritrova sotto assedio. Dalla Cgil di Susanna Camusso e Cesare Damiano fino alla «pacifista» Laura Boldrini. Dalla sinistra degli ex scissionisti di Speranza e Bersani a quella di Provenzano, Cuperlo, Orlando. Persino Repubblica, assai amichevole con la leader, ieri arrivava a paragonarla al Cavaliere: «Quell’attrazione fatale per il leader nel logo, eredità del berlusconismo», si leggeva in un titolo. Elly erede di Silvio, chi l’avrebbe mai detto.

Per non parlare del durissimo cannoneggiamento di Romano Prodi, padre dell’Ulivo e già nume tutelare di Elly: «democrazia ferita», il «popolo che così non conta niente», non risparmia colpi il Professore. Lo stesso che - pur dicendo di aver votato il suo rivale Stefano Bonaccini, «usato sicuro» alle primarie - aveva benedetto la nuova leader, consegnandole addirittura la patente di potenziale «federatrice» del campo largo (si è visto). «Posso dire di averla vista nascere», raccontava, ricordando con qualche commozione di quando l’allora giovane attivista di «OccupyPd» (profezie che si auto-avverano) aveva animato la protesta anti-Nazareno dopo la bocciatura della candidatura Prodi al Quirinale, nel 2013. Ed era andata in pellegrinaggio nella sua casa bolognese di Via Gerusalemme a consegnargli la t-shirt con la scritta «Siamo più di 101», più dei vituperati «franchi tiratori» che avevano affossato il Professore. Un altro maitre a penser della sinistra bolognese, il politologo Gianfranco Pasquino, parlando col Giornale, la gela: «Schlein non apporta un particolare contributo elettorale».

E Claudio Petruccioli, padre nobile del Pd e dirigente Pci, annuncia l’addio: «Con rammarico questa volta non voterò Pd, per il modo in cui Schlein fa la segretaria».

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