Dalla Mesopotamia alle Smart City. Le città sono la vera frontiera della green economy

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Come possono le nostre città diventare smart ed ecosostenibili senza eccessi e senza creare danni irreparabili all'economia e alla competitività? È un tema su cui c'è una fortissima riflessione. Alcuni dei pensatori ed urbanisti più attenti per altro sono italiani. Ad esempio anche Cesare De Seta che abbiamo recentemente intervistato sulle pagine di questo quotidiano. Uno dei suoi testi capitali sul tema è La città. Da Babilonia alla Smart City (Rizzoli).Dedica ampio spazio alle modalità di gestire il rapporto tra città e campagna per ottenere un urbanesimo efficace e sostenibile.

La città non deve mai perdere la sua caratteristica principale ovvero per usare le parole di De Seta: «L'aspetto rilevante è la stratificazione della popolazione, tanto da far ritenere a molti che sia questo l'elemento indispensabile affinché un insediamento diventi una città. Dal Messico alla Cina le città nascono, in tutte le epoche, lì dove c'è un'eccedenza di produzioni e quindi la necessità di scambiare merce. La città è un luogo di incontro e di commercio».

Il tessuto produttivo va quindi sempre salvaguardato perché è la base dell'urbanesimo che è la base della civiltà occidentale e, probabilmente, di tutte le civiltà.

La città come luogo artificiale per eccellenza è il luogo più umano ed è quello in cui si gioca la necessità di una economia veramente green. Le megalopoli pongono problemi che vanno affrontati a livello politico. Si lavora molto ad esempio per diminuire la densità abitativa, ci sono progetti di questo tipo a Berlino, Parigi a Londra. Ma non basta ridurre la densità perché, per fare un esempio, Los Angeles è strangolata dal traffico automobilistico mentre New York ha in parte risolto il problema nonostante la sua alta densità con una rete di trasporti pubblici efficiente e costantemente ammodernata. Si riflette molto su questi temi e su come sfruttare al meglio le tecnologie.

Non è tanto un problema che si risolva a colpi di rendering ben fatti o preconcetti. Perché non esiste una città uguale ad un'altra. Secondo molti urbanisti, tra cui De Seta il problema è che la società globale, con le enormi sfide che ci pone, dovrà convivere in una rete urbana distribuita. È da respingere la tendenza a rinchiudersi in città fortificate. Si portano dietro un'idea di segregazione».

Invece quello che serve è apertura ed attenzione dinamica ai fenomeni di mobilità.

Oggi più della metà della popolazione mondiale (circa 3,9 miliardi) vive in città: sono almeno 30 le megalopoli con 10-20 milioni di abitanti, più di cento quelle che superano i cinque milioni. Le città producono il 70 per cento del Pil globale e il 70 per cento dei gas serra.

Per iniziativa dell'Onu, 193 Paesi hanno sottoscritto la Nuova agenda urbana Habitat III per i prossimi vent'anni, assise che si è tenuta a Quito nell'ottobre 2016. Un documento ambizioso visto che afferma un principio generale cardine: «Le città

sono per gli uomini non per il profitto».

Ma la natura delle città deve restare quella di produrre ma di produrre funzionando come un ecosistema. La città non deve mai essere un sistema parassitario ma un sistema rigenerativo. Questo non significa che si debba far morire le città di ideologia green ma che le soluzioni devono essere pensate caso per caso. In quest'ottica tutte le maggiori aziende, nelle loro competenze, stanno cercando il sostegno di un tipo di finanza maggiormente adatto a sviluppare congiuntamente il fronte dello sviluppo e quello della sostenibilità. L'82% degli operatori finanziari consultati nel 2022 in round del Forum per la Finanza Sostenibile dichiarava di investire in energia rinnovabile, ad esempio. Il 78% in innovazione e digitalizzazione delle imprese; il 74% in efficienza energetica e riqualificazione degli edifici.

Tre temi profondamente legati tra di loro, dato che la transizione green sarà una partita di digitalizzazione e sviluppo strategico di nuove fonti efficienti.

A minacciare questo percorso non è una logica di mercato, semmai una logica politica che con l'aumento delle tensioni e dei conflitti globali vede le risorse concentrarsi su altri percorsi. Come la corsa agli armamenti.

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