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I giudici-precari in guerra con lo Stato

Gli incarichi dei magistrati onorari venivano prorogati da decenni. Ora una legge ha di fatto cancellato il loro ruolo. Gli interessati sono in rivolta, i tribunali rischiano il collasso

I giudici-precari in guerra con lo Stato

Oggi lavora in Norvegia, guida un progetto europeo per una multinazionale dell'hi-tech. Un paio d'anni fa fu coinvolto in un piccolo incidente stradale a Milano: una cosa da poco, ma le parti non riuscirono a mettersi d'accordo. Alla metà di luglio è stato convocato di fronte a un giudice di pace del capoluogo lombardo e ha dovuto sobbarcarsi un viaggio di più di 2mila chilometri. Una volta in udienza, a lui e agli avvocati presenti, il magistrato ha confessato che non aveva tempo e che non sarebbe riuscito ad ascoltarli visto che in un'unica giornata era stato costretto ad affastellare una quantità di cause indifferibili. Risultato: se ne riparlerà a dicembre. E a dicembre il manager italiano, sempre meno nostalgico della Penisola e dei suoi disservizi, prenderà un altro aereo e tornerà in un'aula di tribunale per una causa da poche migliaia di euro, in pratica quanto sta pagando in viaggi.

La storia è minima, ma per avere un'idea della sua portata si può tranquillamente moltiplicare per migliaia e migliaia di volte, quanti sono i procedimenti giudiziari «terremotati» dall'ultimo sciopero dei magistrati onorari, durato in pratica per tutto luglio e che ha ridotto la loro attività a una udienza la settimana. Nel mirino c'è la legge di riforma del settore che di fatto ha abolito la «carriera» dei giudici di pace e che cambierà equilibri e abitudini del mondo giudiziario.

GRANDI NUMERI

Il termine «onorario» sembra richiamare un'idea di gratuita irrilevanza. Ma agli oltre 5mila tra giudici di pace, giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari (queste le dizioni ufficiali delle norme sull'ordinamento giudiziario) negli ultimi 25 anni è stata affidata tutta o quasi la manovalanza dei tribunali italiani: liti fino a un valore di 5mila euro, o fino a 20mila se la controversia riguarda la circolazione stradale, reati come le percosse e le lesioni personali, la minaccia o i furti punibili a querela dell'offeso. Processi che non finiscono sui giornali ma che, se si guarda ai grandi numeri, rappresentano il grosso dell'attività giudiziaria. Ai magistrati onorari, ha detto il Procuratore di Torino Armando Spataro in una audizione parlamentare, è affidato più o meno l'80% dei procedimenti avviati. La loro storia inizia di fatto all'inizio degli anni Novanta, quando la giustizia italiana è costretta a fare i conti con l'aumento del contenzioso e l'incapacità di tener dietro all'accumularsi degli arretrati. I concorsi per aumentare il numero dei giudici sono lenti e macchinosi, le procedure bizantine, la produttività degli uffici non elevatissima. La pensata è quella i farsi aiutare da esperti della materia, avvocati soprattutto, nominati con una procedura abbreviata dal Csm che esamina i titoli presentati dai candidati senza che questi vengano sottoposti a un concorso per esami come avviene per i giudici togati. Naturalmente, viste le procedure semplificate di selezione, a loro vengono affidati i piccoli casi, quelli che all'apparenza richiedono competenze giuridiche meno sofisticate. E sempre naturalmente, il loro ruolo e il loro inquadramento sono considerati sin dall'inizio temporanei, in attesa di una legge destinata a regolamentare l'attività dei giudici di pace, una figura presente, sia pure con altre caratteristiche, in altri Paesi europei.

SENTENZE A COTTIMO

In omaggio al principio generale che informa la vita della Penisola («nulla in Italia è più definitivo del provvisorio»), le norme e le nomine degli anni Novanta, all'inizio fissate per tre o quattro anni sono via via prorogate. Così ci sono giudici di pace che «in via provvisoria» scrivono sentenze da 20/25 anni. E anzi, il peso degli «onorari», dal punto di vista formale un semplice supporto dell'attività giudiziaria, è andato aumentando con il tempo. Alcune circolari del Csm hanno allargato le loro competenze. E vista la crisi che ha colpito le categorie forensi, chi era riuscito a farsi nominare giudice onorario ne ha fatto spesso una professione. Con una retribuzione che ha una particolarità: gli «onorari» sono gli unici magistrati il cui guadagno dipende dalla produttività. A parte una piccola indennità mensile (258 euro) un giudice riceve 36 euro per udienza e 56 euro per una sentenza o per un altro atto che definisce un procedimento. Somme non straordinarie, ma sufficienti per portare a casa uno stipendio. Non trattandosi di una professione riconosciuta non sono previsti contributi pensionistici o altri istituti previdenziali come maternità o malattia. E la cosa ha già provocato numerosi ricorsi. Insomma, un pasticcio che ha del paradossale: negli ultimi decenni il mondo della giustizia, per definizione solenne manifestazione della sovranità statale, si è affidato a figure che agivano in un limbo non regolamentato, precari di codici e pandette senza diritti riconosciuti a qualsiasi lavoratore.

LA DELEGA E IL DECRETO

La vicenda è tipica dell'approssimazione e della faciloneria con cui viene gestita la cosa pubblica in Italia. A far precipitare la situazione è stato però il fatto che la legge

attesa più o meno da 20 anni, quella destinata a disciplinare l'attività dei magistrati non togati, è finalmente arrivata per iniziativa del ministro della Giustizia Andrea Orlando. Prima, nel 2016, sottoforma di delega approvata dal Parlamento. Poi, nelle settimane scorse, come decreto delegato. E il principio di base di tutta la normativa è quello delle origini: l'attività dei giudici onorari non può che essere temporanea e a tempo parziale. Anzi, per essere ancora più chiari, le nuove norme fissano dei paletti per il part-time: in nessun caso il giuudice potrà lavorare più di due giorni alla settimana (tre se è tra quelli prorogati), divisi tra udienze e attività di ufficio. E per evitare che a qualcuno venga l'idea di fare il giudice di pace per professione nessuno potrà superare un tetto di guadagni annui fissato poco sopra i 30mila euro annui. Un sostanziale «taglio» rispetto al tetto fissato attualmente (intorno ai 72mila). Per ridurre i contraccolpi il testo prevede un periodo di rodaggio ragguardevole visto che molte norme sono destinate a entrare in vigore nel 2021. Quanto agli onorari attualmente in servizio ancora una volta la parola magica è «proroga». In alcuni casi potranno continuare a svolgere la loro attività per quattro anni prorogabili per quattro volte. Una durata «monstre» di 16 anni che sembra probabilmente motivata dalla cattiva coscienza di chi sa di aver lasciato «incancrenire» per decenni una situazione insostenibile. Per far fronte alla massa di procedimenti gestiti dagli «onorari» attualmente in servizio il ministero pensa a nuovi massicci reclutamenti di giudici laici. Una necessità tanto più urgente se si pensa che lo stesso decreto prevede un rilevante aumento delle loro competenze (vedi anche altro pezzo in pagina).

LOTTA CONTINUA

Di fronte al testo firmato dal presidente Mattarella un paio di settimane fa le proteste dei magistrati onorari sono state furibonde. Oltre agli scioperi, destinati a continuare, le associazioni di settore hanno annunciato la formazione di team di giuristi e professori universitari incaricati di sfidare le nuove norme sia con ricorsi interni sia appellandosi alle Corti europee. A protestare non sono però stati solo gli interessati. Un centinaio di Procuratori e presidenti di Tribunale hanno chiesto di essere ascoltati dalle commissioni parlamentari che dovevano dare un parere sul decreto legislativo. Tutti erano d'accordo con il già citato Spataro che è arrivato a parlare di possibile «disastro» della giustizia se l'attività dei giudici di pace si bloccherà. «Le statistiche su arretrati e produttività dimostrano che siamo l'unico settore della magistratura che funziona», si sfoga Mariaflora Di Giovanni, presidente dell'Unione nazionale giudice di pace.

«Non ne hanno tenuto minimamente conto».

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