Cronache

Una cimice fa perdere a Paoli anche la faccia

Intercettato si raccomanda: "Non voglio si sappia dei miei soldi in Svizzera"

Gino Paoli al concerto al Parco della Musica a Roma
Gino Paoli al concerto al Parco della Musica a Roma

C'è più sapore di sale che di mare, negli ottant'anni di Gino Paoli. Arrivare all'età dei miti e rotolare dal piedestallo in un amen, per la solita debolezza che accomuna piccoli e grandi, miserabili e facoltosi, poveracci e danarosi: i soldi, sempre i soldi.

Nonostante le accorate paternali del difensore d'ufficio Beppe Grillo, che agli altri italiani non perdona nemmeno un brufolo e all'amico Gino concede tutte le cautele e i garantismi del mondo, la penosa faccenda dei due milioni imboscati in Svizzera - sottraendo 800mila euro di tasse alla collettività, cioè noi - diventa ogni giorno più scabrosa e imbarazzante. A rendere inesorabilmente patetiche le difese dell'avvocato Grillo è lo stesso Paoli, che in prima persona, più di un anno fa, percepiva chiaramente la gravità e la devastante portata della vicenda. Lo rivelano, ancora una volta, le inequivocabili intercettazioni, in questo caso organizzate dalla Finanza con una rete di cimici nello studio del commercialista Andrea Vallebuona. Siamo nel gennaio 2014. Per la verità, le cimici stanno lì perché Vallebuona è dentro l'inchiesta Banca Carige, di cui è consulente. Ad un certo punto le Fiamme Gialle si ritrovano in cuffia Paoli e la moglie che parlano con lo stesso Vallebuona, loro commercialista. Il cantante è molto preoccupato. Non tanto per i fondi nascosti nei forzieri svizzeri, ma per quel capitale inestimabile e intangibile che ogni umano costruisce a fatica negli anni di una vita intera: la reputazione. «Non voglio si sappia che ho portato soldi all'estero - dice il cantautore -: io sono un personaggio pubblico, non posso rischiare questo. Ho un'immagine da difendere...».

Certo l'immagine che adesso Paoli vuole difendere a ogni costo, chiedendo espressamente di riportare in Italia e di «scudare» i soldi, è la stessa immagine che aveva quando s'era deciso a nasconderli sotto la mattonella svizzera. Ma c'è una differenza: al tempo, così facevano tutti, e i rischi d'essere rovinati erano praticamente zero. Adesso, con quest'aria che tira dei nuovi accordi tra governo italiano e controparte elvetica, l'artista fiuta il serio rischio della vergogna pubblica. Lui è l'icona della poesia e dell'emozione, è cantante impegnato, voce degli onesti, diremmo pure filosofo e pensatore, lontano galassie dai cinici leggeroni delle canzonette. Non è pensabile, proprio non è neppure pensabile di passare improvviamente dalla parte dei soliti italiani furbastri e profittatori, in fila al confine per nascondere palanche nei paradisi fiscali. Per fortuna, al fianco di ogni grande uomo c'è sempre una grande donna, lo sanno tutti: a sostenere Gino c'è la moglie Paola, che ha una buona idea: «Bisogna nascondere bene le carte in un posto sicuro». Quanto al commercialista, che ha i suoi bravi grattacapi, praticamente prende tempo e si limita al generico, alla rassicurazione buona per l'estate e per l'inverno: «Vedremo di trovare il modo...».

Scene italiote come tante ne abbiamo viste, niente di nuovo: da quanto sta venendo fuori, ormai, mi pare proprio che gli unici a non aver portato soldi all'estero siamo io e mia nonna. Seminando di cimici gli uffici dell'intero territorio nazionale, negli ultimi sessant'anni la Finanza avrebbe registrato di queste scene in tiratura stellare (a proposito, solo per inciso: ogni tanto dovremmo pensare a come sarebbe la nostra storia moderna senza intercettazioni). Il vero elemento di novità, nel caso Paoli, è solo Paoli: un artista già pronto alla causa di beatificazione, con quella sua aria distaccata da tutto e da tutti, visibilmente infastidito dalle bassezze dei mediocri. All'improvviso ce lo ritroviamo nel personaggio sordiano che porta furtivamente il valigino oltre Chiasso. Pure lui. Persino lui. Clamoroso? Dopo tutto l'abbiamo letto in Madame Bovary, l'ha ripetuto Oriana Fallaci: non bisogna mai guardare i miti troppo da vicino, c'è sempre il rischio di scoprirli troppo uomini.

Ci fosse almeno un'Italia senza intercettazioni, come usava una volta.

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