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I dubbi sulla durata di Conte. ​Può già cadere su Savona

Salvini minaccia: sul ministro dell'Economia salta tutto. Ma le urne non sarebbero l'unica soluzione alla crisi

I dubbi sulla durata di Conte. ​Può già cadere su Savona

Per capire quanto sia fragile il governo che sta per nascere, se nascerà, bisogna mettere l'orecchio nel colloquio che Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti hanno avuto con Silvio Berlusconi, mentre loro entravano nello studio del presidente incaricato, Giuseppe Conte, e il Cav ne usciva. «Questi non hanno capito - si è sfogato il leader della Lega con quello che, sulla carta, rimane ancora un suo alleato - che sulla nomina di Paolo Savona al ministero dell'Economia salta il governo. È solo lui il nostro candidato». E, mentre Salvini parlava, accanto a lui il suo consigliere preferito, Giorgetti, scuoteva la testa quasi per mostrare visivamente il suo cruccio per un governo che, prima di partire, già non gli piace. Ma anche Berlusconi ha sorpreso i suoi interlocutori: «Guardate che io sono disposto a votare anche a ottobre».
Altra immagine. Magari nell'Italia del 2018 fa poca impressione, ma scoprire che il possibile premier, Giuseppe Conte, prima di salire al Quirinale per ricevere l'incarico, si rechi, di fatto, nella sede della Casaleggio Associati a Roma, l'appartamento dove soggiorna Pietro Dettori, già dipendente dell'azienda e socio dell'associazione Rousseau, a piazza di Sant'Angelo 31, per mettere giù, nero su bianco, il discorsetto da fare all'uscita dallo studio alla Vetrata al Quirinale, lascia francamente perplessi. Tralasciando tutte le ironie sul conflitto di interessi, tante volte contestato al Cav, resta il problema dell'autonomia del premier, quella invocata, in un moto di coraggio, ieri anche da Sergio Mattarella, sulla scelta dei ministri, che la Costituzione assegna, appunto, al presidente del Consiglio in concorso con il capo dello Stato. Un monito probabilmente vano.

Eh sì, perché Conte è un gran navigatore, ma non è tipo da mettersi contro-vento, specie se messo in mezzo tra la «bora» Salvini e lo «scirocco» Di Maio. Ieri, nelle consultazioni, a tutte le delegazioni ha fatto il solito discorsetto: «Per me il Parlamento è centrale». Ma poi si è rifugiato sempre in un angolo. Ad esempio, quando la delegazione di Liberi e Uguali, guidata dall'ex presidente del Senato, Grasso, gli ha posto il problema dei diritti civili degli immigrati, il futuro premier si è rimesso, proprio lui capo del primo governo sovranista, all'Europa: «Ci sono dei vincoli Ue che vanno rispettati». «È un gran furbone», racconta Loredana De Pretis, che lo ha incontrato insieme a Grasso, «mi ricorda, anche fisicamente, un nostro ex senatore, Dario Stefano, passato dalla Dc a Sinistra e libertà e poi, ancora, nel Pd renziano». Ma proprio la troppa fiducia nelle sue doti di navigatore potrebbe mandare Conte a sbattere sugli scogli. Anche perché l'autonomia che Mattarella rivendica per il premier, i soci di maggioranza del governo, i diarchi Salvini - di sicuro - e Di Maio - al seguito -, non la vogliono concedere. La vicenda della nomina al ministero dell'Economia del professor Paolo Savona, caposcuola degli accademici che teorizzano l'uscita dell'Italia dall'euro, è esemplare: ogni volta che il Quirinale, Berlusconi o altri ancora hanno posto il problema, Salvini ha tirato fuori la «clava» della minaccia elettorale. Addirittura, quando lo stesso Di Maio ha accennato all'argomento per dare una mano al Quirinale, il leader della Lega ha agitato l'arma pure contro di lui: «Qui salta tutto». Il motivo è semplice. La posta ormai va oltre Savona. Con questo braccio di ferro, infatti, Salvini punta ad instaurare una sorta di egemonia della Lega sul governo.

Risultato: non è ancora nato e già l'esecutivo giallo-verde cammina sul filo. «Oggi spiegava ieri pomeriggio, nel cortile di Montecitorio, il leghista Roberto Calderoli si è chiusa la finestra per votare il 22 luglio. Peccato, perché ancora c'è il rischio che salti tutto. Nessuno può mettere in discussione il nome di Savona sul piano dei titoli, ma tantomeno può farlo per le sue idee sull'Europa. Addirittura oggi sui giornali gli è andato dietro un democristianone come Vincenzo Scotti, il presidente dell'università Link che ha dato tanti quadri ai 5 Stelle. Né tantomeno si può spostare Giorgetti dalla casella di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. C'è un equilibrio da rispettare. Anche perché per durare non possiamo dare vita ad uno scarabocchio di governo. Io, ad esempio, non entro, perché con una maggioranza di 6 voti in Senato, magari ora di 10, non posso lasciare la carica di vicepresidente vicario».
Il «caso» Savona dimostra che il tragitto del governo sarà estremamente periglioso, visto che su ogni questione i leghisti usano la tattica del «prendere o lasciare». Per cui, anche se Di Maio parla di un governo di legislatura, c'è chi fa calcoli diversi e punta su ben altra durata. C'è chi paventa, addirittura, che saranno gli stessi soci di maggioranza del governo a staccare la spina. «Quelli faranno le nomine è l'analisi di Sestino Giacomoni e poi troveranno un pretesto per andare a nuove elezioni tra sei mesi. E non gli mancheranno». Ma c'è anche chi, nelle opposizioni, invece di aver paura di un simile epilogo, lo auspica per evitare che il rapporto tra Lega e 5 Stelle si saldi in una vera alleanza. «Noi osserva tranchant Ignazio La Russa, consigliere della Meloni questi dobbiamo farli cadere al più presto. Magari dopo che avranno provocato tanti guai con la legge di stabilità».
Calcoli un pochino diversi si fanno dalle parti di Arcore, dove tutto è condizionato dall'evolvere della situazione. Se il governo non parte, Berlusconi sarebbe pronto a votare anche in tempi brevi. In caso contrario, le valutazioni saranno diverse. Racconta Gianfranco Rotondi: «Da quanto ne so Berlusconi ha già una sua tabella di marcia. Vuole arrivare fino alle Europee per verificare se, come pensa lui, i limiti di questo governo faranno subire ai grillini una batosta e, contemporaneamente, permetteranno a Forza Italia di risorpassare la Lega. Se ciò accadrà, porrà la questione di nuove elezioni politiche e deciderà le alleanze: se Salvini farà il figliol prodigo e tornerà nella casa del centrodestra, si alleerà con lui; altrimenti si confronterà con Renzi».

Sarà un caso, ma la tabella del Cav trova qualche riscontro anche in quella dell'ex segretario del Pd. «Loro è il ragionamento di Renzi partiranno forte nei primi sei mesi: vitalizi, edilizia carceraria e legittima difesa, saranno i temi che tenteranno di portare a casa. Poi, con la legge di stabilità, cominceranno ad esserci i primi dolori. Per cui a noi conviene misurare alle elezioni europee la fiducia dell'opinione pubblica nei confronti del governo. Fare una specie di check. E poi tentare la spallata». Ma qualcuno pensa che la caduta del governo non debba per forza portare alla fine della legislatura. Quei richiami continui all'alleanza di centrodestra di Salvini, per alcuni non sono fatti a caso. Diversi parlamentari di Forza Italia sono stati approcciati dai colonnelli leghisti con una serie di congetture originali, visto il momento: «Noi non crediamo è il succo di queste riflessioni - che l'alleanza con i 5 Stelle vada molto avanti. Al primo problema sulla Tav, sull'Ilva o sull'immigrazione, li mandiamo a quel paese.

Nel frattempo il gruppo misto in Parlamento sarà diventato più numeroso e non è detto che non si possano creare le condizioni per un governo di centrodestra». Promessa o inganno per il futuro?

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