Cronache

In crisi l'industria dell'immigrazione: centinaia di posti a rischio nel Cara di Mineo

Personale in esubero nella struttura d'accoglienza più grande della Sicilia: calano gli sbarchi, va in crisi una delle industrie più redditizie degli ultimi anni

In crisi l'industria dell'immigrazione: centinaia di posti a rischio nel Cara di Mineo

Contrattazioni, riunioni con aziende e sindacati presso la locale Prefettura, lavoratori in agitazione ed amministratori preoccupati. Sembra il classico copione che riguarda la crisi di un’industria o di una grande azienda, la quale opera in un determinato territorio. L’Italia, purtroppo, oramai è abituata a questo tipo di situazioni: da nord a sud, tra problemi occupazionali e problemi di impatto ambientale, diverse sono le crisi gestite tra aziende, amministrazioni e sindacati. Questa volta però uno scenario simile non si ha per un grande stabilimento oppure un’importante fabbrica: si tratta del Cara di Mineo. È uno dei centri di accoglienza più grandi del mezzogiorno, situato nel cuore dell’entroterra siciliano lì dove un tempo vi era il villaggio per i soldati americani stanziati a Sigonella.

Con l’intensificarsi della crisi migratoria, negli anni passati le case a schiera poste nella campagna attorno Mineo, piccolo paese dell’area catanese del Calatino, sono trasformate in alloggi per richiedenti asilo. Si inizia nel 2011, quando ministro dell’interno è Roberto Maroni, ma è nel corso degli anni successivi che il Cara di Mineo diventa un maxi centro d’accoglienza con punte anche di quattromila ospiti. Al suo interno iniziano a convivere persone di diverse etnie, ma si tratta di una convivenza dove non mancano tensioni, risse e problemi di gestione della struttura. Attorno al Cara vi è un lungo recinto che circonda l’area, in alcuni punti vi è la presenza anche dei militari. La storia di questi anni parla anche di una non sempre rosea convivenza tra gli ospiti del Cara e la popolazione locale. Non mancano infatti episodi di proteste divampate all’interno del centro, divulgatesi poi all’esterno con migranti che in più di un’occasione nei periodi di maggiore tensione non hanno esitato nel creare barricate lungo le strade adiacenti alla struttura.

In questo primo ottobre, cambiano le società che devono gestire il Cara. Il consorzio Nuova Cara Mineo, che gestisce la struttura dal 1 ottobre 2014, cede il testimone ad un nuovo raggruppamento di imprese. Per chi lavora all’interno del Cara, iniziano le preoccupazioni. Come si legge sul quotidiano La Sicilia, diminuiscono gli ospiti e dunque cala anche il lavoro da svolgere all’interno della struttura. In poche parole, dei circa 300 occupati all’interno del Cara, un centinaio potrebbero perdere il posto. E la questione, da queste parti, viene trattata proprio come una vera e propria crisi di un’importante fabbrica. Con le sue 300 unità impiegate del resto, il Cara in questi anni ha rappresentato l’unica reale “industria” del Calatino, con tanto di indotto calcolato nell’ordine di migliaia di Euro a Mineo e nei paesi limitrofi. Una vera e propria manna, anche per una politica che, in una Sicilia sempre più depressa sotto il profilo economico/occupazionale, non ha mancato di usare il Cara come occasione per poter cercare un posto di lavoro dentro la struttura o nel suo indotto generato. Diverse le inchieste portate avanti sotto questo fronte, con il Cara finito anche in un fascicolo riguardante "Mafia capitale". Nel gennaio 2017 emerge pure, da un'indagine della procura di Catania, il sospetto secondo cui i dipendenti della struttura sono costretti ad iscriversi all'Ncd, il vecchio partito dell'allora ministro Angelino Alfano.

Da settimane si susseguono riunioni sindacali sia a Mineo che presso la Prefettura di Catania. Proprio nel capoluogo etneo si è anche insediata una specifica commissione per valutare nel dettaglio il bando, in vista del disco verde alla nuova gestione. Il principio è semplice: calano gli ordini, cala il lavoro, il personale va in esubero. Come in un’industria, per l’appunto. Ma questa volta l’industria è quella dei migranti, favorita dagli approdi negli anni passati. La crisi migratoria ha creato vere e proprie industrie, di cui il Cara è forse la “filiale” più importante o comunque più rappresentativa. Calando gli sbarchi, cala dunque il lavoro da fare dentro la struttura. Del resto i dati parlano chiaro: secondo il ministro dell'interno Matteo Salvini, gli sbarchi nel 2018 sono scesi dell'80% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Proprio il leader leghista, prima della sua esperienza di governo, ha fatto del Cara di Mineo uno dei tanti cavalli di battaglia sull'immigrazione. Nel maggio dello scorso anno, ad esempio, Salvini ha trascorso una notte all'interno della struttura: "È un supermarket di carne umana - ha dichiarato in quell'occasione il segretario del carroccio - Costa agli italiani centomila Euro al giorno".

Per i sindacati sono circa 100 forse i soggetti in esubero a rischio concreto di licenziamento. Nel nuovo bando, sono previsti non più tremila ospiti bensì 2.400. Seicento posti in meno, che si traducono appunto in licenziamenti.

Anche i toni usati dalla CGIL locale sembrano quelli letti in passato per grandi crisi aziendali: “Pur apprezzando l’operato della commissione – si legge in una nota dei dirigenti locali del sindacato – nonché l’oculato e attento esame delle offerte, paventiamo una riduzione dei livelli occupazionali, che aggraverebbe l’attuale crisi economica del Calatino.”

È forse questa la più pratica dimostrazione di cosa rappresenta l’immigrazione: posti di lavoro, indotto, opportunità di lavoro, business. Non c’è traccia, nelle ore in cui alcuni potrebbero perdere il posto all’interno del Cara, della situazione dei richiedenti asilo, del contesto riguardante la sicurezza di una popolazione che non sempre vive senza ansia la presenza di tanti migranti vicino Mineo. Ciò che importa realmente è la possibile crisi occupazionale provocata dal calo di migranti approdati, con quest’ultimi che diventano numeri da immettere nella “catena” dell’industria dell’immigrazione.

In realtà, come si apprende da alcune fonti della Prefettura, non è detto che si arrivi a licenziare. Ma ad ogni modo, la gestione di questa “crisi” così simile a quella di un’industria conferma le impressioni di chi, anche da queste parti, da anni denuncia la presenza di un vero e proprio mercato dell’immigrazione. Ciò che viene messo in rilievo è la miopia di una politica non in grado di sfruttare le potenzialità del territorio. Qui si potrebbe vivere di agricoltura e turismo, con la crisi del terziario e del settore primario c’è chi ha scelto la via più facile: sfruttare la possibilità dei tanti posti letto per migranti dentro il Cara. Il territorio, in barba a problemi di sicurezza, integrazione e di livello sociale, ha avuto nel Cara una delle sue industrie più importanti.

Ed oggi, con il calare degli approdi, si parla più di gente in odor di licenziamento che di morti in mare.

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