Cronache

Se le femministe che festeggiano dimenticano le islamiche umiliate

Ecco le vere eroine dell'8 marzo

Se le femministe che festeggiano dimenticano le islamiche umiliate

Due giorni fa per le strade di Londra poche decine di donne hanno sfilato in corteo «contro l'ingiustizia e la disuguaglianza». Tra le promotrici c'erano Annie Lennox e Bianca Jagger in testa. La cantante scozzese ha esordito così: «Dobbiamo continuare a lottare per l'uguaglianza dei diritti seguendo le orme delle suffragette inglesi che si sono sacrificate per noi affinché avessimo accesso al voto democratico, all'educazione e al lavoro».

Poi il microfono è passato a Bianca Jagger, nota per essere stata l'ex di Mick Jagger (dal quale divorziò quasi quarant'anni fa senza mai rinunciare al cognome): «È importante unire le forze per realizzare una rivoluzione pacifica che garantisca l'uguaglianza di genere e i diritti delle donne». Il laburista Jeremy Corbyn, impossibilitato a presenziare, ha mandato un messaggio di sostegno annunciando che s'impegnerà per erigere una statua in memoria di Mary Wollstonecraft, autrice del primo manifesto femminista nel tardo Settecento. Le donne di tutto il mondo saranno certo sollevate, le Piketty in gonnella e le ex mogli gelose del cognome maritale rappresentano la nuova frontiera del femminismo radical chic.

Alla sparuta brigata londinese si è unita pure una pronipote di Emmeline Pankhurst, suffragetta che nel 1914 si fece arrestare davanti a Buckingham Palace mentre tentava di consegnare una petizione al re Giorgio V. Pankhurst si batteva per un diritto concreto e tangibile: il voto. Quattro anni dopo, la Camera dei Comuni lo riconobbe per legge a tutte le donne britanniche ultratrentenni. Insomma, Pankhurst era una con le palle. Chissà che cosa avrebbe pensato ad ascoltare gli slogan intrisi di retorica rosa. Vogliamo più diritti, al bando la disuguaglianza, riforniamo le donne di acqua così avranno più tempo per andare a scuola (non scherzo, tutto documentato).Ecco, forse con gli occhi puntati alle emergenze contemporanee Pankhurst avrebbe proferito poche e lapidarie parole: «Libertà per le donne islamiche». Del resto, chi sono oggi le vere schiave del potere maschile? Forse noi donne occidentali che sui tacchi inseguiamo carriera, amori e divorzi? Oppure quelle segregate in un sudario di pietra, lapidate per adulterio, costrette giovanissime a sposare uomini che neppure conoscono?

Ayaan Hirsi Ali è una scrittrice somala che da dieci anni vive sotto la minaccia di morte per aver partecipato al documentario Submission del regista olandese Theo Van Gogh, assassinato nel 2004 da un estremista islamico. Nel libro Eretica (Rizzoli, 2015) Hirsi Ali scrive: «È sciocco insistere sul fatto che le azioni violente degli islamisti radicali possano essere separate dagli ideali religiosi che li ispirano: è arrivato il momento di riconoscere che tali azioni sono mosse da un'ideologia politica, un'ideologia insita nello stesso islam e nel suo libro sacro». Il problema è l'islam. E le donne da liberare mettetevelo in testa, care femministe - non vivono a Londra o a Roma. Ah, per la cronaca: anche Hirsi Ali ha un marito famoso, lo storico Niall Ferguson.

Ma lei al proprio cognome non ha mai rinunciato.

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