Crisi siriana

Hollande, il "pacifinto" che predica l'amore ma poi fa la guerra

Dal Ciad alla Somalia al dialogo ha sempre preferito le armi. Ora è il più convinto degli interventisti. Quasi...

Hollande, il "pacifinto" che predica l'amore  ma poi fa la guerra

Parigi - Era l'uomo della pacatezza. Il capo dell'Eliseo a basso costo a cena nel ristorante sotto casa. Quel François Hollande, che i colleghi di partito definivano «fragolina di bosco» (Laurant Fabius), «budino» o «capitano di pedalò» (Jean-Luc Mélanchon, alleato comunista), è in piena metamorfosi; riuscendo però solo in parte a sembrare forte e decisionista. Il settimanale satirico Charlie Hebdo ironizza, lo ritrae in giacca e cravatta mimetica, con un casco militare, in attesa di quel «sì» americano per l'intervento in Siria che non gli permette ancora di imbarcarsi in una nuova guerra. Sintesi di un presidente che maschera il neo-imperialismo indossando i panni di salvatore dei civili.
É cominciata otto mesi fa in Mali la nuova fase Hollande. Con una guerra in nome dei diritti dell'uomo. L'interventismo gli ha portato consensi, dunque val bene perseguirlo ad libitum, ovunque possibile. Fino in Medio Oriente, in Siria. Una nuova manovra utile per mascherare il mancato decisionismo dell'Eliseo in politica interna, scrivono i quotidiani francesi. Un refrain che la Francia ha conosciuto con altri presidenti, a partire da Jacques Chirac. Così anche il socialista che supportava i cortei della pace oggi è «determinato» ad abbandonare la via diplomatica in Siria. Spendaccione in politica estera, pur di risultare forte in patria e vincente sullo scacchiere internazionale.
Eppure, scrivono editorialisti di orientamento diverso, le parole di Hollande non si traducono in fatti nell'immediato. Tanto che, ieri, lo stesso presidente si è rivolto all'Europa con la speranza di creare un gruppo di intervento contro il regime a Damasco. Ma i Verdi e le opposizioni chiedono un voto parlamentare a Parigi sulla Siria e Hollande, costretto, fa sapere che non si esclude un voto in Assemblée.
Non sono bastate le accuse ufficiali del governo socialista, sull'utilizzo di armi chimiche da parte di Bashar al Assad, per convincere l'Eliseo ad autorizzare una missione. La destra francese, fors'anche per indebolire Hollande - che sull'interventismo potrebbe lucrare - tergiversa. Il rapporto dei Servizi transalpini accusa Assad di carneficina. Hollande gli dà credito, scalpita, e spera che una eventuale internazionalizzazione del fronte siriano possa vedere la Francia protagonista.
La stampa francese, però, ha capito che Parigi ha poche chances di alzare la voce da sola. Charlie Hebdo ironizza sul «semaforo verde» americano che non c'è ancora. Ritrae un Hollande pronto alla guerra, ma incapace di farla in solitaria. I giornali citano il Mali, dove oggi gli sfollati sono oltre 500 mila e il mandato Onu prosegue senza soluzione di continuità: basato sul cosiddetto law enforcement, permette alle truppe francesi di attaccare ancora i miliziani nel Nord. E, anche se Hollande ha più volte dichiarato «vittoria», facendo sfilare le truppe maliane al fianco di quelle francesi sugli Champs Elysées nella parata parigina del 14 luglio, la guerra al terrore non è affatto conclusa. La passerella è stata remunerativa in termini di consensi. Ma la sola certezza in Mali è che la missione «Minusma» integra il contingente transalpino: circa 1.000 soldati dell'operazione francese «Serval» restano, insieme con 1.800 uomini del Ciad, all'interno del mandato Onu. Ciò permette alla Francia di mantenere truppe e Servizi su suolo maliano.
Intervengo, dunque sono. Sembra questa la nuova filosofia di Hollande. Riassunta dal politologo francese Dominique Moïsi, che ieri, sulla Stampa, accennava però alla mancanza di visione del presidente normale.
Un uomo che si lascia tentare dall'istinto imperialista, tipico d'Oltralpe, senza avere una strategia.

Ma solo imbracciando una baionetta.

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