Cronache

L'ultimo cibo "miracoloso" è un piccolo supermirtillo

Si chiama maqui e cresce spontaneamente nell'isola di Robinson Crusoe, al largo del Cile. Secondo gli studiosi previene l'invecchiamento e le malattie

L'ultimo cibo "miracoloso" è un piccolo supermirtillo

Arriva anche lui quasi dalla fine del mondo, come Papa Francesco. Dall'arcipelago cileno di Juan Fernandez, e ancora più di preciso dall'isola di Robinson Crusoe, dove nel Settecento lo scozzese Alexander Selkirk (il marinaio che ispirò il romanzo di Defoe) trascorse quattro anni in solitudine e scoprì, primo occidentale, questo frutto uguale al mirtillo, ma molto più potente: il maqui. Un supermirtillo, ma non per le dimensioni, anzi all'aspetto è così minuscolo, che può sembrare una bacca qualunque: invece il maqui è studiatissimo e molto ricercato perché sarebbe una specie di concentrato naturale di polifenoli, sostanze che funzionerebbero come antiossidanti prodigiosi.

Insomma questo mirtillino che in realtà è un supermirtillo, col suo colore scuro e ancora di più col suo succo rosso sarebbe - nell'indice che misura l'azione antiossidante in vitro degli alimenti - al primo posto senza confronti, con un indice di 28.200, considerando che la mora, al secondo posto, è a 19.220, e giù a scendere fino a 4.669 del mirtillo «normale». Effetti: anti invecchiamento, anti glicemico, ma soprattutto anti infiammatorio. Si parla di infiammazione a livello profondo, delle cellule: quindi le proprietà anti infiammatorie, di fatto, si trasformerebbero in prevenzione contro le malattie e quindi, di nuovo, in longevità. Questo supermirtillo ha entusiasmato studiosi come il biochimico Giovanni Scapagnini e come Barry Sears, il padre della dieta Zona, che ha come obiettivo proprio quello di ridurre l'infiammazione «latente». Ora, oltre agli acidi grassi omega3, secondo Sears nella «Zona del futuro» (come si intitola il suo ultimo libro, pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer e presentato l'altra sera a Milano) un posto va riservato appunto al maqui, da prendere in estratto concentrato come i campioni dell'Nba dei Miami Heat, nei quali sono stati osservati «livelli maggiori di energia, recupero più veloce, prestazioni migliori». Conclusione: «Per carità loro sono fortissimi, ma ora hanno un'arma in più».

Il medico cileno Carlos Bertoglio, professore all'Universidad Austral, da anni ha sotto gli occhi il destino dei nativi dell'isola, i Mapuche, per i quali il maqui è una pianta sacra: ne bevevano il succo spremuto e fermentato (la chicha, leggermente alcolica) prima di andare in battaglia, non conoscono malattie cardiovascolari e sindrome metabolica, le donne che stanno tutto il giorno in campagna sotto il sole e non spendono migliaia di euro nelle creme, a ottant'anni hanno la pelle delle venticinquenni europee e americane. Secondo Scapagnini il maqui, come gli altri polifenoli antiossidanti «non è nutriente ma è un direttore d'orchestra della chimica del nostro organismo». Qualche signora si spalma il succo sul viso, come i Mapuche che a fine vendemmia hanno mani e facce rosse. C'è un dettaglio: il maqui non si coltiva, cresce selvatico, si raccoglie solo fra metà gennaio e metà febbraio. Una pianta ne produce dieci chili in sette anni (perciò da noi arriva in capsule, come l'olio di pesce). In compenso, in Cile ci sono quintali di mirtilli «normali». Bertoglio, il professore, ride: «Qui a Milano un chilo ora costa 35 euro, da noi un euro e cinquanta al supermercato, cinquanta centesimi in campagna. Fresco..

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